Il virus continua a infettare nuovi allevamenti dove sono confinati migliaia di maiali, vittime della crudeltà e dell'insensatezza della produzione zootecnica.
Si legge così da fonti stampa che riportano la notizia di un nuovo focolaio di PSA in un allevamento di maiali di Trecate in provincia di Novara. Ora le provincie dove sono coinvolti maiali allevati sono, oltre Novara, anche Milano e Pavia.
Una domanda ricorre costante negli articoli e nelle interviste di esperti è “Come e perché entra il virus negli allevamenti?”.
La realtà dei fatti
parla di un'emergenza in peggioramento, nonostante l'abbattimento di circa
300 mila cinghiali ogni anno negli ultimi sette anni (Rapporto ISPRA 2023),
per cui il Governo ha addirittura scomodato l'esercito, la situazione non
sta migliorando. Dal 1° gennaio 2022, di tutti i cinghiali abbattuti, solo
2423 sono risultati positivi.
Quando il virus entra in un allevamento tutti gli animali vengono uccisi e si arriva velocemente a decine di migliaia, come nel 2023 in provincia di Pavia, con l'uccisione di oltre 40mila maiali, anche sani, ma considerati potenzialmente a rischio contatto e contagio.
E' notizia di questi giorni quella di nuovi focolai in provincia di Novara, Milano e Pavia, dove decine di migliaia di maiali verranno uccisi per l' "eradicazione" della malattia.
A oggi i focolai in allevamento sono 26 e gli esperti della Commissione Europea in visita in Italia (Veterinary Emergency Team) hanno scritto nel loro report di una situazione preoccupante, dove si afferma chiaramente che la caccia non è una soluzione quando il virus è già diffuso.
La Peste Suina Africana è una malattia letale nella quasi totalità dei casi, non esiste un vaccino: da un punto di vista scientifico è fondamentale proseguire nella conoscenza della malattia e delle possibili cure.
Ma quello che già sappiamo è che questa malattia è l'ennesima prova del fallimento del modello di produzione di cibo basato sul confinamento di massa di milioni di animali, migliaia all'interno di singoli capannoni, esposti a condizioni di densità estreme e stress psicofisico, vittime e vettori di agenti patogeni anche letali.
La preoccupazione massima del Governo e di Coldiretti è quella di salvare il nostro comparto suinicolo, che tiene gli animali nelle condizioni descritte sopra e manda al macello quasi 10 milioni di maiali ogni anno, costringendoli a una vita di miseria e un'uccisione violenta a pochi mesi di vita.
Ammazziamoli per salvarli, poverini. Questa sembra la retorica. E viene venduta in modo così strumentale da riuscire quasi a convincere qualcuno.
Saremmo d'accordo nel parlare di emergenza sanitaria (non zoonotica perché la PSA non colpisce l'uomo), se gli animali colpiti potessero essere curati, o quanto meno trattati con palliativi e accompagnati, se le condizioni non sono tali da consentirne la guarigione.
Ma qui non stiamo parlando di questo: l'emergenza PSA che preoccupa tutti è un'emergenza produttiva, economica, dove gli animali figurano come meri “capi”, “unità di bestiame” e altre diciture simili. E vengono prontamente “abbattuti” (uccisi) come unica risposta all'emergenza, con brutalità.
Non si assiste a nessun cambiamento strutturale del sistema, a nessuna presa di coscienza sulla necessità impellente di cambiamento produttivo.
Continuiamo a dirlo: il sistema attuale di produzione di cibo, che fonda le radici nella sofferenza e nello sfruttamento sistematico degli animali, di milioni di animali, non è sostenibile, nemmeno dal punto di vista economico.
Lo status quo è fallito.
Devono essere individuate alternative, vanno previsti fondi per la transizione a produzioni e consumi diversi. Sono già possibili qui, ora, con i dovuti sostegni, anche e soprattutto pubblici (quindi i soldi di tutti), che invece ancora danno benzina ad un modello deleterio per gli animali.