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Cuori Liberi: TAR nega risarcimento e giustifica l’operato dell’ATS

Con LNDC e con la Rete dei Santuari di animali liberi e il rifugio Progetto Cuori Liberi annunciamo ricorso al Consiglio di Stato contro una sentenza miope e ingiusta.

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Ultimo aggiornamento

lunedì 16 dicembre 2024

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Non è accettabile che essere un maiale, ed ammalarsi, implichi senza alcun margine di valutazione una condanna a morte

La sentenza del TAR Milano sul caso dei maiali uccisi al rifugio Cuori Liberi lascia sgomenti e preoccupati: nel dichiarare improcedibile il ricorso delle associazioni, le motivazioni portate dal tribunale amministrativo rimandano ai regolamenti europei ed alla necessità di preservare la salute pubblica e gli allevamenti della zona.

Ricordiamo fin da subito che la PSA non pone alcun problema di salute pubblica, non essendo una zoonosi e quindi non essendo pericolosa per l’uomo.
Si tratta di una malattia con un alto tasso di mortalità tra i maiali e per questo la risposta data alla conferma di un focolaio è quella dell’uccisione di tutti gli animali.

Ricordiamo però anche che il tasso di mortalità non è 100% e che non ci sono evidenze che aiutano nella definizione di cure e vaccini anche perché, al di là della potenza del virus, le procedure di “abbattimento” immediato non permettono di valutare e studiare la risposta degli animali alla malattia, a diverse terapie o gestione della malattia.

Nella sentenza, il TAR fa riferimento al fatto che gli animali del Rifugio Progetto Cuori Liberi non avessero possibilità di cura: tuttavia, gli animali erano accuditi ogni momento dai proprietari, diversamente da quanto accade normalmente nei capannoni degli allevamenti, si ricorda piuttosto l'intervento non tempestivo dell’ATS di Pavia che, quando chiamata per eseguire l’eutanasia su alcuni soggetti in sofferenza - come si fa anche per i cani e gatti di casa quando non ci sono alternative e la qualità della vita non è più dignitosa - non si sono recati immediatamente al rifugio arrivando il giorno dopo quando ormai i soggetti in questione erano morti.

In merito alle deroghe che, viene riferito, non possono essere applicate in caso di animali già affetti da PSA, riteniamo che sia una lettura restrittiva dei regolamenti: gli animali non DPA, ovvero usciti dal circuito di produzione alimentare, ospitati nei rifugi permanenti e sottratti al maltrattamento, non rientrano nelle logiche commerciali di trasporto, ingrasso e macellazione che pongono gravi rischi per la diffusione del virus.

Rientrano nella sfera di animali a tutti gli effetti “da affezione” ed è compito del legislatore oltre che della magistratura innovare e offrire vie normative e giuridiche che tutelino questi soggetti e rispondano in modo adeguato all’evoluzione della società, che riguarda anche e soprattutto il rapporto con gli animali e con la natura, in accordo con quanto previsto dalla Costituzione.

La risposta non può quindi limitarsi ad applicare regole che riguardano un settore, quello zootecnico, che dello sfruttamento fa la sua base. La risposta deve tenere conto che, pur trattandosi di animali della stessa specie, esistono differenze e sono necessarie vie alternative.

Non è accettabile che essere un maiale, ed ammalarsi, implichi senza alcun margine di valutazione una condanna a morte.

Per questo noi di LAV con LNDC, la Rete dei santuari di animali liberi e il Rifugio Progetto Cuori Liberi annunciamo ricorso al Consiglio di Stato per avere giustizia.