Il numero di animali utilizzati e uccisi dalla ricerca risulta ancora elevatissimo: 8.8 milioni nel 2020. L'Italia è tra primi Paesi, soprattutto per cani e scimmie.
La Commissione europea ha finalmente pubblicato le statistiche relative agli animali utilizzati per fini sperimentali in tutta Europa e Norvegia nel 2020.
Anche se modelli non animali sono indicati come prioritari dalla direttiva europea e dai decreti nazionali, il numero di animali utilizzati e uccisi nella ricerca rimane ancora altissimo: 8.8 milioni nel 2020 contro i 9.3 milioni del 2017.
Il lieve
decremento non risponde a quanto richiesto dalla norma da oltre 13 anni e la diminuzione è, presumibilmente, causata
dalle limitazioni imposte dalla pandemia da Covid-19.
Su scala europea, l’Italia si classifica quinta su 28 Paesi analizzati, con più di 450 mila animali e sesta per il ricorso a specie particolarmente protette, come cani e primati non umani (più di 1000 in un solo anno, un record nazionale inaccettabile).
Le statistiche confermano anche il deludente quadro italiano già denunciato da LAV, che vede il 50% degli animali sottoposto ai più elevati livelli di dolore.
Aumenta il numero di animali riutilizzati in una seconda procedura, soprattutto su cani, gatti, primati ed equidi esposti a due consecutivi livelli di dolore alti (cioè in cui il primo test appartenga alla classe di dolore classificata come “grave”) anche se ciò non è consentito dalla direttiva europea, se non per particolari eccezioni. Si tratta di una procedura evidenziata dalla stessa Commissione Europea che invita le autorità a monitorare e a evitare il più possibile che ciò accada.
LAV è
attiva su questo fronte fin dal 2013, con la richiesta di divieti legati al riutilizzo
e impiego di animali per trapianti di organi fra specie e test sulle sostanze
d’abuso, come alcol e tabacco.
SONO NECESSARIE STRATEGIE CONCRETE
I dati analizzati, a dir poco sconfortanti, si inseriscono in un contesto europeo e nazionale in cui – almeno ufficialmente – la totale sostituzione degli animali nella ricerca dovrebbe essere una priorità scientifica. Se così fosse, ci aspetteremmo una diminuzione più rapida e decisa, mentre il fenomeno non accenna a diminuire in modo concreto.
Alcuni stati, come l’Olanda, che si è posta l’obiettivo di liberarsi dei test con animali entro il 2025, si sono già dichiarati pronti per un cambiamento.
E l’Italia?
Auspichiamo che il Ministero della Salute, considerate anche la chiara volontà espressa dai cittadini italiani e l’enorme successo della recente raccolta firme europea contro la vivisezione, metta in atto efficaci strategie concrete che permettano al nostro Paese di tornare ad essere leader nella ricerca e nell’evoluzione della conoscenza e di salire ai primi posti di una classifica meritevole, quella dei Paesi in cui i metodi sostitutivi, innovativi e all’avanguardia, avranno soppiantato gli attuali metodi crudeli, antiquati e inefficaci.