Sono state rese pubbliche le statistiche riguardanti il numero di animali usati per fini sperimentali nel 2018 in Italia.
I dati sono stati raccolti secondo le modalità previste dalla Direttiva 2010/63/UE dal Ministero della Salute, recepita in Italia con il Decreto Legislativo n.26/2014 e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale n.26 del 01-02-2022.
Il numero totale di animali è in leggera diminuzione rispetto all’anno precedente passando da 580.07 cavie stabulate, utilizzate e uccise nel 2017 a 557.426 nel 2018; lieve flessione che non deve suscitare sostegno o plauso perché le leggi nazionali e il contesto europeo chiedono di andare ben oltre questa piccola riduzione, vedendo il ricorso all’animale autorizzabile “solo se per ottenere il risultato ricercato, non sia possibile utilizzare altro metodo e dando totale priorità a modelli sostitutivi che non prevedono animali” (11 considerando della direttiva 2010/63) con il cristallino traguardo di una ricerca senza animali, goal che continua ad essere tragicamente disatteso nel nostro Paese.
Mentre l'Epa, l'agenzia governativa per la protezione dell'ambiente degli Stati Uniti d'America, mira a ridurre il numero di animali del 30 percento entro il 2025, per poi abolirli quasi totalmente entro il 2035, noi siamo ancora ancorati all’obsoleto, mai validato, oltre che costoso, modello animale.
In aumento criceti, roditori, capre, bovini, polli e pesci. Inoltre, continua ad essere altissimo il numero di primati impiegati nella ricerca, nonostante i rigidi vincoli a cui deve conformarsi il loro utilizzo, e la crescente tutela di questa specie a livello mondiale.
Sono 512 le scimmie utilizzate in Italia nel 2018, numero che calpesta ogni evidenza scientifica e giuridica, come dimostra il report di un Istituto indipendente olandese, realizzato dietro richiesta del Governo, che definisce l’uso di primati un modello non sostenibile. Di questi 512, oltretutto, solo 2 sono provenienti da colonie autosufficienti, come richiesto dalla Direttiva dell’Unione europea, tutti i restanti vengono tristemente importati da Paesi poveri e noti per caccia illegale e devastazione delle aree boschive come Asia e Africa, fenomeno che deve preoccupare anche alla luce della tragica situazione sanitaria mondiale frutto di uno spillover da specie selvatiche.
“La direttiva che regolamenta le procedure legate alla ricerca nasce per la ‘protezione degli animali utilizzati a fini scientifici’, scopo che viene puntualmente disatteso – afferma Michela Kuan, biologa, responsabile LAV Ricerca senza animali – Ci troviamo davanti a un sistema che non filtra, controllato da personale interno agli stessi Atenei in cui sono svolte le procedure, comitati in cui mancano figure fondamentali come biostatistici, bioeticisti ed esperti in modelli alternativi, progetti troppo spesso copia e incolla di precedenti e che non trovano applicazioni cliniche, comportando il dolore e la morte di migliaia di animali”.
Del totale di animali nemmeno il 30% viene utilizzato per rispondere a fini regolatori, che quindi prevedono l’obbligo di test animali per legge. Questo dato fa luce sulla realtà del fenomeno “sperimentazione animale”, spacciata come l’unica scelta perseguibile o come un male necessario, ma non lo è: a distanza di 60 anni dalla determinazione scientifica dei metodi alternativi, questi numeri non sono più accettabili.
È incredibile, poi, che siano ancora 1.439 gli animali utilizzati per l’istruzione e la formazione, nonostante nel nostro Paese ci sia il chiaro divieto di procedure didattiche su animali (che prevede deroghe solo per l’alta formazione universitaria), e sia vigente già dal 1993 la legge sull’obiezione di coscienza alla sperimentazione animale, legge che quasi mai è pubblicizzata, o affissa nelle segreterie, della quale troppo pochi vengono informati, calpestando il diritto dello studente.
C’è inoltre da considerare che questi numeri, già di per sé troppo alti, sono in realtà fortemente sottostimati perché non tengono conto di molte categorie, come gli animali usati già deceduti, gli invertebrati o le forme di vita non completamente sviluppate, destinati a un calvario al termine del quale arriva la morte.
È impressionante che quasi la metà degli animali utilizzati (255.213) vengano sottoposti a procedure appartenenti a categorie di dolore moderato o grave.
Per capire cosa si intende basta consultare la legge che per definire i test relativi a queste categorie usa alcuni esempi tra cui “dispostivi cardiaci guasti che provano dolore e morte, trapianto di organi in cui il rigetto può causare angoscia intensa o deterioramento grave, nuoto forzato fino all'esaurimento, privazione di cibo, movimento e isolamento prolungati”.
Statistiche, queste, che possono risultare fuorvianti perché per l’animale l’uomo rappresenta un predatore e un pericolo, quindi esso simula il dolore nascondendolo e, in ogni caso, lo esprime con modalità di comunicazione diversa (non avendo la parola). Per capire il livello di dolore, inoltre, occorre tener conto dell’effetto cumulativo e non solo il singolo esperimento, ad esempio, nel trattamento dei tumori sono previsti più step: irradiazione, inoculazione di cellule, chemioterapia, prelievi ed è possibile che singoli trattamenti classificati come lievi diano, nella somma, procedure moderate, o anche gravi. Persino per i primati, considerati nostri “cugini prossimi”, sono in calo le procedure con livello di gravità classificato “lieve” e in aumento quelle di livello “moderato” e “grave”.
Numeri che appaiono ancora più gravi se letti alla luce della normativa italiana che permette a personale non specializzato di gestire il dolore e la sofferenza degli animali, come dimostra il recente “decreto formazione”. È inaccettabile che gli animali nei laboratori vengano manipolati e, alla fine delle procedure uccisi, da parte di tecnici che possono essere privi delle nozioni più basilari sulla loro sofferenza fisica e psicologica.
Le statistiche fin qui presentate ritraggono il quadro di un Italia che, nel complesso, non investe nei metodi alternativi. Ammontano infatti a soli 2 milioni di euro all'anno per il triennio 2020-2022 i finanziamenti alla ricerca innovativa senza animali, ottenuti grazie alle pressioni di LAV, a fronte di oltre un miliardo spesi per la ricerca su animali. I finanziamenti per lo sviluppo dei metodi sostitutivi, inoltre, non sono stabili ma legati a periodici rinnovi invece che, come chiediamo da anni, strutturali e di entità ben più adeguata alle esigenze di una ricerca moderna e pronta a superare il modello animale.
Ci appelliamo al Ministro della Salute Roberto Speranza e ai Deputati della Commissione Affari Costituzionali, perché approvino gli emendamenti al Decreto Milleproroghe finalizzati a non posticipare ancora l’entrata in vigore del divieto di test animali per le sostanze d’abuso, e per rendere più importante e non una tantum il fondo pubblico per il sostegno a metodi sostitutivi!