Home | ... | | Oltre 4.000 visoni morti in Italia a 2 anni dal divieto degli allevamenti di pellicce

Oltre 4.000 visoni morti in Italia a 2 anni dal divieto degli allevamenti di pellicce

Il Ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, non ha ancora regolamentato la cessione degli animali ai centri di ricovero. Quanto ancora devono soffrire?

Leggi l'articolo

Ultimo aggiornamento

venerdì 05 maggio 2023

Topic


Moda animal free

Condividi

Quanto ancora devono soffrire questi animali reclusi?

Secondo il censimento condotto da LAV con mirate istanze presentate ai competenti Servizi Veterinari locali, dal marzo 2022 al marzo 2023 sono morti 560 visoni e dei 5.739 visoni presenti a marzo 2022 oggi ne sono rimasti 3.352 in 4 strutture tra Lombardia, Emilia Romagna, Abruzzo (considerando che lo scorso dicembre oltre 1.600 visoni sono stati tutti uccisi dopo la rilevazione di un terzo focolaio di coronavirus in uno degli allevamenti in dismissione). 

Dopo lo storico traguardo del divieto all’allevamento di animali “da pelliccia” entrato in vigore il primo gennaio 2022 (risultato ottenuto grazie ad un emendamento proposto dalla LAV e presentato dalla Sen. Loredana De Petris alla legge di bilancio 2022) il Ministro dell’Agricoltura (all’epoca l’On. Stefano Patuanelli, ora l’On.Francesco Lollobrigida) avrebbe dovuto disciplinare entro il 31 gennaio 2022 le modalità di indennizzo degli allevatori e, con lo stesso provvedimento, anche le modalità della eventuale cessione a strutture e centri di ricovero per animali selvatici dei visoni rimasti in questi allevamenti. 

Tra il 2020 e il 2021, infatti, l’attività di allevamento dei visoni in Italia era stata “congelata” con i provvedimenti del Ministro della Salute Roberto Speranza che, al fine di ridurre il rischio di formazione di focolai di coronavirus (essendo nota e documentata la suscettibilità dei visoni a questa infezione, con anche 2 focolai verificatesi proprio in allevamenti italiani), aveva vietato la riproduzione degli animali; ciò ha comportato che negli allevamenti restassero in gestione i soli animali riproduttori 

Il temporaneo divieto di riproduzione divenne poi un divieto permanente grazie all’approvazione, in legge di bilancio, del divieto di allevare animali allo scopo di ricavarne pellicce. 

Negli allevamenti ormai divenuti “illegali”, migliaia di visoni riproduttori si sono trovati in una sorta di limbo non potendo essere più uccisi per la pelliccia e, tantomeno, per semplicemente svuotare gli allevamenti (l’uccisione di animali è sanzionata dal Codice Penale, art.544-bis).

La via “di fuga” doveva essere il Decreto ministeriale (previsto ai sensi del comma 983 articolo 1 legge “di bilancio” n.234/2021) che però è stato adottato solamente il 30 dicembre del 2022 (quindi con undici mesi di ritardo) pubblicato in Gazzetta Ufficiale solamente il 4 marzo 2023 (con altri tre mesi di ritardo) e che, di fatto, ha disciplinato solo l’accesso degli allevatori agli indennizzi stanziati per la cessazione forzosa dell’attività e rimandando a successivo Decreto (da adottare entro altri 60 giorni, quindi con ulteriore proroga al 4 maggio 2023) la regolamentazione delle modalità di cessione dei visoni. 

Di fatto, ad oggi, non esiste una norma che disciplini la cessione dei visoni; nelle more di conoscere i requisiti minimi strutturali e gestionali che strutture e centri di ricovero per animali selvatici dovrebbero rispettare al fine di proporsi per accasare i visoni, non è possibile determinare se e quali strutture sono già idonee e se e come possono eventualmente essere adattate. 

Quanto ancora devono soffrire questi animali? Il Ministro Lollobrigida deve definire con urgenza le modalità di cessione e accasamento dei visoni rimasti ingiustamente imprigionati negli allevamenti in dismissioneLAV

La situazione è oltremodo urgente anche in considerazione del fatto che il Decreto del 30 dicembre e che ha rimandato a successivo atto (con scadenza il 4 maggio) la definizione delle modalità di cessione dei visoni, ha introdotto la possibilità di uccidere i visoni rimasti in allevamento qualora si “ravvisasse da parte delle autorità competenti un rischio di compromissione delle condizioni di benessere”!