L'appello rivolto al Ministro della Salute da alcuni ricercatori italiani affinché garantisca tempi brevi per le procedure di approvazione di sperimentazioni che prevedono l’uso di animali è l’ennesimo tentativo del mondo della ricerca di lamentare restrizioni che nella realtà non esistono.
La lettera aperta, la cui prima firmataria è il rettore dell’Università di Cagliari, esprime "seria preoccupazione per le sorti di un ampio e importante settore della ricerca scientifica italiana a causa della grave e perdurante paralisi delle procedure per l'approvazione dei progetti che prevedono l'utilizzo di animali". Quello che la lettera non dice, però, è che allo scadere dei 40 giorni previsti per l’autorizzazione delle procedure, il progetto viene automaticamente autorizzato, lasciando il sistema di controllo dell’utilizzo di esseri senzienti, e il principio di trasparenza dovuto nella ricerca per la salute umana, in un pericoloso meccanismo di silenzio-assenso.
Lo stesso appello, inoltre, definisce irragionevole “l’incompatibilità tra i ruoli di responsabile del progetto di ricerca e di responsabile del benessere degli animali e di veterinario designato”, confermando l’incapacità di innovarsi e adeguarsi a principi comunitari di un mondo che non ammette alcuna trasparenza e vuole rimanere ancorato all’equazione controllore=controllato! Concetto evidente nella costituzione dei comitati etici, in cui componenti sono rappresentati da personale interno alla struttura a cui afferisce il progetto da giudicare.
Inaccettabile la cifra degli animali uccisi per studi biologici e ricerca di base, che spesso non rispondono a nessun obbligo di legge e che quindi dovrebbero riflettere l’impegno sul principio delle 3R (sostituzione, riduzione e perfezionamento) con un numero rasente lo zero, e sono invece 1'237'667.
Sia il decreto vigente durante la rilevazione statistica che quello attuale, poi, permettono il riutilizzo dell’animale. Conigli e scimmie sono le specie che maggiormente vengono sottoposte a una seconda procedura, dopo un primo esperimento.
“Questi numeri, già di per se impressionanti, sono in realtà fortemente sottostimati perché non tengono conto di altre rilevanti categorie, come gli animali usati già deceduti, gli invertebrati o le forme non completamente sviluppate, oltre che essere raccolti su autocertificazione degli stessi laboratori – dichiara Michela Kuan, biologa, responsabile LAV Vivisezione – L’impegno delle Istituzioni verso la riduzione e la sostituzione degli animali nella ricerca rimane solo sulla carta. Principi che non vengono ascoltati per la mancanza di formazione, gap culturale e interessi economici, lasciando il nostro Paese ancorato a un modello fallimentare, risalente alla fine dell’800. Non è possibile accettare ancora statistiche così alte che dimostrano la cecità della ricerca basata sull’obsoleto e antiscientifico modello animale, nonostante la diffusione dei metodi alternativi e la volontà dei cittadini che in parte, loro malgrado, finanziano la ricerca.”
Nel loro appello i ricercatori contestano dei principi comunitari che non possono essere modificati. Durante la redazione del testo di recepimento della Direttiva europea la LAV è stata portavoce di una battaglia che voleva inserire criteri maggiormente restrittivi, mentre chi usa animali ha sempre contestato come non fosse possibile farlo.
Oggi, con la loro richiesta, sembrano invece aver cambiato idea, chiedendo delle modifiche a quanto stabilito a livello comunitari.