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Peste Suina Africana: Report (RAI 3) mette in luce i paradossi della malagestione

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Ultimo aggiornamento

lunedì 06 novembre 2023

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Rifugi e allevamenti: due pesi e due misure?

Ieri sera nel corso di una puntata di Report, il popolare programma di approfondimento su RAI 3, Giulia Innocenzi ha guidato i telespettatori in una inchiesta sugli allevamenti grattacielo cinesi e sugli effetti della Peste Suina Africana in Italia. 

Nei pressi di Wuhan, la giornalista è riuscita ad entrare nel Pig Palace, una torre di 26 piani con 600mila maiali allevati contemporaneamente e una capienza di oltre due milioni di suini. Animali e addetti alla loro gestione, uno ogni 6000 maiali, vivono in un incubo tecnologizzato. Gli animali muoiono. 

Nella parte dedicata alla malagestione della Peste Suina Africana in Italia, la trasmissione ha messo in luce la situazione in alcuni allevamenti lombardi, tra i quali uno denunciato alcuni anni fa proprio da LAV per maltrattamenti.


Di seguito i commenti delle responsabili delle aree tematiche LAV:

Ci troviamo nel paradosso per cui gli animali sono sempre più isolati, sempre più rinchiusi, sempre più rimossi dal loro ambiente naturale, da ciò di cui avrebbero bisogno per vivere in salute, con la motivazione che vanno preservati da malattie e dal contatto con qualunque fattore possa minare il ciclo produttivo in cui sono imprigionati. Dove sono gli animali? Sono oltre 630 milioni gli animali terrestri uccisi ogni anno solo in Italia, eppure andando in giro non se ne vede nessuno. Si vedono muri di cemento, capannoni sigillati, dove anche l’aria e la luce del sole faticano ad entrare. Perché la detenzione degli animali allevati è incompatibile con la loro stessa vita. Sono ormai decenni che gli animali, e in particolare i maiali, i polli e i bovini (ma non solo loro), vengono rinchiusi nei capannoni sovraffollati, per essere più controllabili, facilmente gestibili, manovrabili, e si vedono calpestati ogni necessità e ogni bisogno. Gli animali rinchiusi non stanno bene, facilmente si ammalano diventando vittima oltre che veicolo di malattie. E così, questo sistema di sfruttamento chiude gli animali in posti confinati, veri e propri bunker, in un tentativo disperato e crudele di standardizzarne la vita e regolarne malattie e salute, dove gli animali sono di fatto tenuti in vita quel tanto che basta per arrivare al momento della macellazione o compiere il “ciclo produttivo” in cui sono inseriti. Dove non sono ammesse variazioni nei tempi di crescita, nello sviluppo dei loro corpi. Dove la selezione genetica esasperata fa sì che arrivino solo animali identici gli uni agli altri, fragili e con gravi problemi di salute già in partenza. Nulla è ammesso se non la standardizzazione, e con la standardizzazione arriva anche la gestione efferata delle malattie causate proprio da questo stesso sistema di sfruttamento. Infatti, sono ormai costanti e cicliche le esplosioni di epidemie all’interno degli allevamenti, che vengono puntualmente trattate come inevitabili e inesorabili incidenti di percorso e risultano nell’uccisione di decine e decine di milioni di animali.  L’unica risposta possibile a questa crudeltà, che rappresenta anche una vera e propria crisi sanitaria, è cambiare radicalmente sistema. L’unica soluzione è smantellare queste fabbriche di morte e passare ad un sistema di produzione e consumo di cibo che non sia più basato sullo sfruttamento sistematico e massiccio di decine di miliardi di esseri senzienti, che soffrono e muoiono, considerati come oggetti. Non c’è nessuna possibilità di giustizia, per umani e animali su questo Pianeta, senza scardinare completamente il sistema di produzione animale fin dalle sue basi, basi che stanno già vacillando sotto gli occhi di tutti e che senza costanti e massicci aiuti, sostenuti dalle finanze pubbliche, si sarebbero già sgretolate. Lorenza Bianchi, Responsabile Area Transizione  Alimentare
Le immagini andate in onda nella puntata di Report del 5.11.23 rilevano nuovamente non solo la crudeltà verso gli animali, ma anche i paradossi del comparto zootecnico. Nella denuncia di report della vasca incustodita di liquami potenzialmente infetti, vi è il significato di sistema alimentare insostenibile e, ormai, ingestibile. Gli animali sono ammassati in allevamenti sempre più grandi, ma non per garantire loro maggiore spazio, quanto per aumentare i numeri di produzione. I rischi che ne conseguono sono elevatissimi, considerata l’innaturalità della vita cui tali esseri senzienti vengono costretti. A poco più di un'ora di auto da Wuhan, la megalopoli dalla quale è partita l'epidemia di Covid-19, nella provincia di Hubei, nella Cina centrale, si trova l’allevamento di maiali di 26 piani, in grado di produrre fino a 600.000 suini all'anno, ma che punta a raggiungere il numero di 1,2 milioni di macellazioni annue, con l’unico scopo di aumentare la produzione di carne di maiale nel Paese. Il sistema alimentare sta collassando sotto il peso dei suoi stessi paradossi, ma continua ad essere finanziato. Senza andare geograficamente troppo lontano, infatti, il paradosso sono anche i continui incentivi e ristori al comparto zootecnico, con l’unico scopo di aumentare le produzioni del “made in Italy”, senza intervenire seriamente sui problemi sanitari (oltre che su quelli ambientali, etici, economici) che i ritmi di produzione comportano. Un esempio tra tutti sono i recenti avvenimenti in tema di eradicazione della peste suina africana. Animali uccisi in via preventiva, sulla base del dubbio di aver contratto una malattia che da decenni è nel nostro Paese, perché le misure per contrastarla sono insufficienti, ma non considerando il problema effettivo: il numero spaventoso di animali allevati e le modalità in cui sono tenuti. Inoltre, abbiamo purtroppo drammaticamente visto come le ordinanze del Commissario per la PSA vengano applicate alla lettera quando si tratta di uccidere suini nei rifugi, ma non quando si tratta di chiedere una deroga regionale per movimentare i suini allevati all’interno della medesima provincia, quella di Pavia. Strutture che “sono allo stremo” perché, proprio per come sono costruite, faticano a tenere al loro interno i suini “in eccedenza”, perché “troppo” cresciuti, perché rimasti oltre il tempo prestabilito dalla catena produttiva, e quindi del tutto inadeguate a garantire condizioni minime di vita. Nulla di naturale esiste in queste strutture. Luoghi infernali di sfruttamento. Il paradosso riguarda anche i finanziamenti che spettano agli allevamenti, anche a quelli più volte denunciati da LAV, e non invece ai rifugi, che sono presidi di legalità e nulla ricevono dalla finanza pubblica. Gli animali allevati sono visti nell’insieme di esseri indistinti e non nella loro individualità, non vengono curati individualmente, ma in caso vengono uccisi a tappeto. L’interesse per la vita passa in secondo piano rispetto a quello economico e, purtroppo, non stupisce visto che tali animali sono considerati Bianca Boldrini, Responsabile Settore Animali negli Allevamenti