Da fonti stampa, in particolare da BBC News, abbiamo appreso ieri di una fuga di documenti individuata da Unhearted, pool investigativo di Greenpeace UK, che dimostra come alcuni Paesi abbiano cercato di influenzare i contenuti del Rapporto IPCC e i negoziati della Cop26 di Glasgow. I documenti trafugati rivelano l’esistenza di più di 32.000 osservazioni trasmesse da governi, aziende e altre parti interessate, al team di scienziati che compila il rapporto sul clima e propone raccomandazioni – basate sulle più solide evidenze scientifiche - su come affrontare il cambiamento climatico. Oltre a indicazioni sulla non demonizzazione dei combustibili fossili saltano agli occhi le rivelazioni in tema di allevamenti e alimentazione plant-based.
Queste rivelazioni non stupiscono troppo chi si occupa del tema, visti i fortissimi interessi delle lobby dell’agribusiness nel mantenere lo status quo. Al tempo stesso svelano però qualcosa di molto grave, ovvero la connivenza da parte di Governi, il cui ruolo non è quello di rappresentare determinate categorie di produttori, o ancor peggio singoli produttori potenti, ma di adoperarsi per il benessere dei cittadini. Argentina e Brasile (enormi player globali del settore) hanno chiesto di cancellare o cambiare alcuni passaggi del Rapporto sulle "diete a base vegetale" e sul loro ruolo fondamentale per mitigare il cambiamento climatico. L'Argentina ha domandato, per esempio, che riferimenti alle tasse sulla carne rossa e alla campagna internazionale "Meatless Monday" fossero rimossi. In sostanza, gli interessi delle lobby di alcuni Paesi sono stati portati all’orecchio dei leader mondiali che parteciperanno al summit in Scozia con lo scopo di influenzarne a proprio favore le decisioni. Si tratta di una gravissima ingerenza, che mostra senza filtri gli interessi in gioco, pesanti ostacoli ad una presa di posizione da parte dei Governi coinvolti nelle negoziazioni. La seconda parte del VI rapporto IPCC dovrebbe essere infatti presentata proprio al vertice di Glasgow a sostegno della richiesta di assumere nuovi, significativi impegni per rallentare il cambiamento climatico e mantenere l’aumento del riscaldamento globale entro gli 1,5 gradi.
I decisori politici non possono più ignorare l’evidenza scientifica: la produzione di carne e di altri alimenti di origine animale è uno dei principali responsabili del surriscaldamento del Pianeta. L’agricoltura contribuisce in modo massiccio alle emissioni di gas serra globali, di cui il 70% dipende dalla zootecnia e un cambio di alimentazione sarebbe importantissimo per il futuro. Fino ad oggi però l’impatto degli allevamenti è stato volontariamente escluso dal dibattito sul clima e quanto denunciato ieri mostra cosa si nasconde dietro a questa scelta deliberata. Ma non c’è più tempo: per raggiungere gli obiettivi climatici è necessario un drastico cambiamento di produzioni e consumi in direzione di alimenti di origine vegetale. Un cambiamento che vede i consumatori già protagonisti ma che, per essere efficace, non può prescindere dal supporto delle istituzioni, attraverso politiche nazionali ed internazionali che favoriscano la transizione, anche attraverso la revisione dei meccanismi di finanziamento. L’impatto dell’allevamento sul clima deve perciò entrare nel dibattito della COP26 senza filtri e a pieno titolo. Si tratta di decidere se favorire gli interessi di pochi, nelle mani di cui si concentrano enormi quote di ricchezza a livello globale, o salvaguardare il nostro Pianeta, che è l’unico su cui noi, insieme a tutti gli altri viventi, possiamo e dobbiamo continuare a vivere.