Costruire il maxi-allevamento Fileni a Maiolo significa perseverare in errori dalla portata devastante.
I drammatici eventi verificatesi in Emilia Romagna hanno mostrato, come già descritto, tutte le gravi criticità ed i rischi, anche igienico sanitari, del comparto zootecnico: centinaia di migliaia di animali morti negli allevamenti senza possibilità di fuga, conseguenti rischi sanitari a causa dei tantissimi corpi in decomposizione e per la dispersione dei reflui degli allevamenti nelle zone colpite, eutrofizzazione delle acque e conseguente moria di pesci, necessità di recuperare anche i corpi dei pesci prima che arrivino al mare per evitare ulteriori danni alla salute umana e alla salubrità ambientale.
Un intero ecosistema irrimediabilmente alterato da ciò che l’alluvione ha travolto colpendo una delle regioni più zootecniche di Italia. Riportando le parole dell’esploratore Edmund Hillary: “i problemi ambientali sono comunque veri problemi sociali. Essi cominciano con le persone in quanto causa e finiscono con le persone in quanto vittime”. Anche se in questo caso vittime sono stati anche tutti quegli animali morti nei recinti e nelle gabbie degli allevamenti, considerati numeri ed oggetti da sfruttare e sostituire.
L’acqua si è ritirata, ma i problemi restano. Restano i problemi igienico sanitari e più in generale resta il problema di capire in che direzione si voglia andare: continuare a costruire allevamenti su un terreno instabile e alluvionale o andare in una direzione che guardi al futuro?
LAV conosce già la risposta e da tempo si adopera perché l’insostenibilità del comparto zootecnico sia riconosciuta, così come la necessità di un cambiamento del modello alimentare cui siamo abituati. L’associazione si è occupata anche di allevamenti in Emilia-Romagna, inizialmente con il caso Fileni e poi sostenendo il comitato per la Valmarecchia, contro la costruzione del maxi-allevamento Fileni a Maiolo.
Sul punto è fondamentale comprendere quanto la costruzione di nuovi allevamenti, come il maxi-allevamento di Maiolo, di cui, nonostante le proteste di associazioni, cittadini e imprenditori, i lavori continuano, sia anacronistica alla luce dei recenti avvenimenti.
Una scelta estremamente pericolosa per la salute di tutti e tutte quella di continuare a costruire strutture simili, soprattutto quando si tratta di una struttura a ridosso di un fiume, il Marecchia, in una regione alluvionale che ha recentemente affrontato una delle alluvioni peggiori della storia, con l’esondazione di oltre 23 corsi d’acqua.
Stefano Bonaccini, insieme al ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha annunciato l’avvio della ricostruzione, e LAV si augura che questo avvenga al più presto, ma alla luce delle considerazioni che episodi come l’alluvione in Emilia-Romagna, con le relative conseguenze, impongono.
Ricostruire in vista di traghettare produzioni e consumi verso l’alternativa vegetale, alternativa di cui l’Italia era e sarebbe ancora ricchissima, se non si fosse piegata nel tempo alla coltivazione di monocolture per foraggiare gli animali allevati, come accade spesso anche in Emilia-Romagna.
Ricordiamo a Bonaccini e ad Urso la necessità di mettere il sistema alimentare al centro della discussione politica, proprio a partire da regioni come l’Emilia-Romagna, fortemente esposte a tutte le criticità inerenti alla zootecnia.
Per questo LAV ritiene che una ricostruzione vera, che guardi al futuro, non possa prescindere da tali considerazioni, non ammettendo nuovi maxi-allevamenti nel territorio e, anzi, aprendo la pista alla necessaria transizione alimentare proprio a partire da una regione come l’Emilia-Romagna, fortemente caratterizzata da attività produttive del settore agroalimentare.