Dopo il caso rilevato in un cinghiale nel territorio nord-ovest della città di Roma, è stata pubblicata l’ordinanza regionale per il contenimento della peste suina africana (PSA).
Dopo il caso rilevato in un cinghiale nel territorio nord-ovest della città di Roma, è stata pubblicata l’ordinanza regionale per il contenimento della peste suina africana (PSA).
“Chiediamo al Presidente Zingaretti che il caso di Peste Suina rilevato a Roma non diventi un pretesto per una deregulation venatoria a livello regionale, come accaduto in Piemonte dove abbiamo impugnato al TAR l’ordinanza regionale – dichiara Massimo Vitturi, responsabile LAV Animali Selvatici - il contenimento della peste suina africana non può essere lasciato nelle mani dei cacciatori e dei loro interessi personali.”
Ancor di più perché è lo stesso ISPRA ad affermare che “La densità del cinghiale non ha effetti significativi sulla persistenza in natura della Peste suina africana. La notevole resistenza del virus nell’ambiente fa sì che la malattia continui a circolare per anni, anche in popolazioni di cinghiale a densità bassissime (es. circa 0,5/km2)” chiarendo definitivamente che per eradicare il virus, il metodo da seguire non appartiene certamente al mondo della caccia e alle sue carabine. Come dimostrato in Belgio e Repubblica Ceca, dove la Peste Suina non è stata eradicata con l’uccisione in massa dei cinghiali, ma grazie all’installazione di recinzioni attorno all’area infetta.
“Alla luce di queste evidenze, è quanto mai urgente rivedere i piani di controllo e gestione del cinghiale predisposti da Roma Natura e approvati dalla Regione, che hanno portato a uccidere un migliaio di cinghiali in due anni, morti che non hanno contribuito a nessun risultato concreto per la città e per la gestione della convivenza tra esseri umani e cinghiali – aggiunge Vitturi che sottolinea – oltre all’implementazione di metodi di contrasto della Peste Suina che non prevedano l’uccisione di cinghiali, tra i quali: la sorveglianza attiva e il campionamento degli animali deceduti; il divieto assoluto di attività non essenziali all’interno delle aree recintate con presenza di circolazione attiva del virus; l’obbligo di disinfezione per coloro che escono da tali aree; l’asportazione di ogni elemento che possa essere attrattivo per i cinghiali. E’ necessario che queste misure preventive vengano monitorate e valutate nel tempo, per assicurare una gestione del problema razionale e non estemporanea, a differenza di quanto accaduto finora”.
Torniamo inoltre a ribadire che, più che demonizzare i cinghiali, va riconosciuto il ruolo degli allevamenti, dove gli animali rinchiusi possono diventare facile bersaglio della malattia, proprio a causa delle condizioni di vita cui sono condannati e delle caratteristiche genetiche con cui sono selezionati.
E invece la logica sembra stravolta: per scongiurare la diffusione della malattia che ucciderebbe i suini, si decide di ucciderli in via preventiva.
“L’ordinanza riconosce che i ‘pet pig’, siano essi maiali, cinghiali o loro incroci, tenuti come animali da affezione a scopi non commerciali, non potranno essere oggetto di abbattimenti ma dovranno semplicemente rispettare le misure di biosicurezza - dichiara Lorenza Bianchi, responsabile LAV Animali negli Allevamenti - Preme però ribadire che mettere in discussione e superare il sistema di sfruttamento degli animali, siano essi detenuti in allevamenti o cacciati, è un passo fondamentale per combattere la diffusione di malattie”.
Faremo valere i diritti degli animali in ogni sede necessaria e contrasteremo le Regioni qualora decidano di usare la PSA in modo strumentale, come scusa per una pericolosa deregulation venatoria, mettendo a rischio inutilmente la vita degli animali e ignorando la necessità di cambiare il paradigma del rapporto uomo-animale.