Si avvicina la Pasqua, quest’anno a primavera avanzata, con il suo carico di gioia per la rinascita e la sua valenza – per chi è credente – religiosa. È un momento speciale, il più importante dal punto di vista dell’anno liturgico, perché fondamentale per il cattolico è il sacrificio di Gesù, che diventa il piccolo ovino offerto per espiare i peccati altrui.
A Pasqua si mangiano l’agnello o il capretto per ricordare l’agnello di Dio, cioè Gesù. Ma è necessario? Si tratta di una prescrizione religiosa per i cristiani?
Una risposta ci viene dall’Omelia celebrata da Benedetto XVI nel 2007, il giovedì santo. Il pontefice spiega: […] Gesù dunque ha celebrato la Pasqua senza agnello – no, non senza agnello: in luogo dell’agnello ha donato se stesso, il suo corpo e il suo sangue […] Egli stesso era l’Agnello atteso, quello vero […]. Più recenti e dello stesso tono, le risposte su Famiglia Cristiana dell’Arcivescovo di San Giovanni Rotondo e di Don Antonio Rizzolo, il quale conferma “La tradizione dell’agnello a Pasqua non ha nessuna argomentazione teologica sostenibile, perché la tradizione cristiana non è fondata sui sacrifici degli animali che non solo sono inutili, ma addirittura crudeli e sicuramente lontani dall’idea di amore e compassione verso tutti gli esseri viventi”.
Purtroppo, la simbologia dell’agnello ha creato un’abitudine culinaria diffusa: una tradizione che comporta l’uccisione di centinaia di migliaia di agnelli, senza giustificazione altra che non sia la gola.
Ma non solo agnelli e non solo a Pasqua: il consumo di alimenti di origine animale non è mai giustificabile, perché implica sempre sofferenza e morte.
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Paola Segurini
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