Dovranno rispondere del concorso nel reato di uccisione di animale e di peculato, i tre Vigili dei Fuoco volontari di Gardolo (Tn) rinviati a giudizio dalla Procura della Repubblica del Tribunale di Trento, su nostra denuncia, accusati di essersi appropriati di un maialino thailandese di proprietà e di averlo lasciato morire per poi macellarlo. Nel corso dell’udienza di oggi, ci siamo costituiti parte civile.
Un episodio raccapricciante, reso ancor più grave dal ruolo di pubblici ufficiali dei tre Vigili del Fuoco e dalla complicità che non avrebbe portato nessuno dei tre imputati a desistere dal compiere questa sfacciata violenza. Sollecitiamo un’indagine interna da parte del Ministero degli Interni, al fine di accertare eventuali negligenze o complicità da parte di chi avrebbe dovuto controllare. Confidiamo che ai colpevoli venga inflitta il massimo della pena, sebbene nulla potrà riparare alle sofferenze subite da questo maialino fino all’uccisione.
La prossima udienza è prevista il 12 maggio. Nello specifico i tre imputati, classe 1967, 1988 e 1989, sono accusati del delitto p.e p. dagli artt.110 (concorso in reato), 81 cpv (concorso formale. Reato continuato), 314 (peculato), 544 bis c.p (uccisione di animale), perché in qualità di “pubblici ufficiali si appropriavano di un maialino thailandese di proprietà (…) di cui avevano la disponibilità per ragioni del loro ufficio in quanto chiamati ad intervenire in seguito a segnalazione di animale vagante; una volta catturato l’animale, disapplicando la normativa in materia di soccorso di animali feriti o vaganti di cui all’art. 11 della Legge Provinciale 28/3/2012 n.4, nonché in quanto eventualmente applicabile, quella inerente il rinvenimento o abbattimento fortuito della fauna selvatica di cui all’art.26 della legge provinciale 9/12/1991 n.24, uccidevano o comunque lasciavano morire il maialino, per poi sottoporlo a macellazione, conservandone le carni per il successivo consumo personale; successivamente sviando le ricerche della proprietaria, asserendo di averlo liberato nel bosco, recedendo da tale condotta solo allorquando si apprendeva che la stessa si era recata in quei luoghi di montagna (impervi, in pieno inverno) alla ricerca dell’animale”.