Salutiamo e ricordiamo lo scrittore Roberto Gervaso con questo testo che scrisse nel 2004 per LAV
LAV
L'Anima degli Animali
di Roberto Gervaso
pubblicato in “Animali non bestie. Difendere i diritti, denunciare i maltrattamenti” (LAV, Edizioni Ambiente 2004)
“Perché mi batto (e non da oggi: da sempre) a favore degli animali? Per due motivi. Il primo perché riamato, li amo. Il secondo perché un cittadino degno di questo nome (e tanti ne sono indegni) ha il dovere di rispettare gli animali. Tutti gli animali, compresi i molluschi, gli insetti, gli scarafaggi. Li ha creati, chi ha creato noi, e non certo a caso, per un capriccio. Li ha creati perché nel grande disegno cosmico, affascinante e inquietante, misterioso e insondabile, hanno una ragion d’essere. Anche i più insignificanti, e persino i più nocivi, o che noi, cui infiniti arcani sfuggono, tali sembrano.
Gli animali – mi dispiace per quei gesuiti e per quei teologi che gliela negano – hanno un’anima. Sì un’anima individuale come la nostra: un’anima collettiva (l’etimo ne è l’inquietante spia: animale, da anima) un’anima collettiva che li fa sentire, gioire, soffrire.
Prendiamo la Bibbia, prendiamo e meditiamo su queste righe della Genesi: “Dio creò l’uomo (gesuita compreso) e lo benedì, così come creò e benedì le grandi balene”. Leggiamo il ventiquattresimo capitolo del Levitico, e meditiamo anche su di esso. E l’Esodo, non estende forse il riposo del sabato “ai bovini e a ogni altro animale”? Siddharta Gautama, l’illuminato Buddha, non predicava forse la compassione per gli animali? Diceva: ”La misericordia è un mio diritto, insegnerò la pietà agli uomini, sarò l’interprete di tutte le creature mute, lenirò lo smisurato dolore che non è solo dell’uomo”? E Voltaire, il principe degli illuministi, mio sommo maestro, nel dizionario filosofico, non ci esortava forse a guardare “quel cane che ha perduto il padrone, che l’ha cercato per tutte le strade con guaiti dolorosi, che rientra a casa agitato, inquieto, che sale, scende, va di stanza in stanza e finalmente trova nel suo studio il padrone che ama, e al quale testimonia la propria gioia con la dolcezza dei mugolii, saltando e leccandolo? Un giorno dei barbari agguantano questo cane, che nel senso dell’amicizia supera in modo straordinario l’uomo, lo inchiodano su una tavola e lo sezionano vivo per mostrarti le vene mesenteriche”.
Ma come ci si può macchiare di un simile abominio? Come lo si può tollerare? Chi se ne macchia va braccato, denunciato, condannato. E non a pene e detenzioni simboliche. No: a pene e detenzioni esemplari. Nessuna pietà per chi non ne ha per gli animali. Più amici di tanti amici, ci stanno vicini, ci tengono compagnia, non ci abbandonano mai e mai ci tradiscono: vivono per noi.
Poldo, il burino Poldo, è la mia ombra. Da quando, sei anni fa, lo raccolsi con mia moglie a Reggio Calabria, vicino a una discarica. Solo e disperato, famelico e scheletrico, gli occhi iniettati di terrore, si reggeva a stento sulle zampe. Randagio, inselvatichito, vagava senza meta in cerca di un osso, di un lurido avanzo, di una pozzanghera dove dissetarsi. Mia moglie lo chiamò a sé e lui non fuggì. Ci avvicinammo e lui ci venne incontro. Lo guardammo e ci guardò. Nei suoi occhi leggemmo la speranza di essere soccorso, il desiderio di avere un padrone, di ubbidire ai suoi richiami, di godere delle sue carezze, di guaiolare alla sua vista, di essere parte discreta, affettuosa, riconoscente della sua vita. Non avevamo un guinzaglio, ma solo una corda. Ci offrì il collo, scodinzolando raggiante. Lo caricammo in macchina, lo portammo dal veterinario, lo adottammo. La notte non ci fece chiudere occhio. Un po' perché abituato ai grandi, squallidi spazi di una periferia matrigna, un po' perché troppo felice di non essere più solo.
Ma noi eravamo più felici di lui. Capimmo che, dopo quell’incontro, la nostra vita sarebbe stata più bella, che Poldo, il nome che danno all’esultante meticcio, l’avrebbe riempita con la sua presenza. Dovunque andiamo (e andiamo ovunque) viene con noi: in macchina, in treno, sul traghetto per le isole. Ci separiamo da lui solo quando prendiamo l’aereo, che prendiamo sempre più di rado . Poldo è la nostra ombra e noi la sua. Sordastro, sdentato, inceppato dall’artrosi e dai reumatismi, gli vogliamo, se possibile, ancora più bene. E ancora più bene ci vuole lui.”