Il nuovo Commissario dovrà farsi affiancare da esperti per poter svolgere un buon lavoro senza lasciarsi trasportare dai dettami economici del settore, già da anni in crisi a prescindere dalle specie “aliene”.
Nominare Commissari chiamati ad arginare i danni fatti dall’uomo a uomo, animali e ambiente, sembra sia diventata la moda di questo Governo.
Dopo il Commissario per la Peste Suina Africana, il secondo ad essere stato chiamato e ad essersi dimesso in neanche 18 mesi, è stato nominato anche un Commissario per il contrasto alla diffusione del granchio blu (Callinectes sapidus). Si tratta di Enrico Caterino, ex Prefetto di Rovigo e poi Ravenna, scelto proprio dai ministri Lollobrigida e Pichetto Fratin, che ha dichiarato: “Il problema lo conosco perché vivo in quella zona”, come se bastasse aver visto un granchio blu per sapere come agire.
Invece di consultare esperti biologi marini e attuare misure che siano volte davvero alla protezione della biodiversità marina, e non esclusivamente all’economia del settore, il Governo offre incarichi a figure con tutt’altre competenze, nel malcontento del settore stesso.
Ma andiamo con ordine, cercando di capire come siamo arrivati a questa nomina.
Il Governo, invece di tentare di arginare il problema delle temperature del mare sempre più alte, del declino dei predatori naturali e di un traffico marittimo sempre più rapido e numeroso, che non controlla e gestisce adeguatamente l’ingresso delle navi e gli organismi condotti attraverso gli scafi - nonostante esistano Convenzioni internazionali e legislazioni locali ed europee a proposito – ha elargito fondi a pioggia volti ad “eradicare” il granchio blu.
Così lo scorso anno, il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, ha iniziato una sua battaglia contro “l’invasore”, arrivato dagli Stati Uniti proprio a causa dell’uomo, attraverso le acque di zavorra delle navi, e stanziatosi nel Mar Mediterrano, moltiplicandosi e cibandosi soprattutto di vongole, cozze, crostacei, e piccoli pesci.
Ad agosto 2023 sono stati infatti stanziati con urgenza, attraverso il decreto-legge 104/2023, 2,9 milioni di euro di contributi a fondo perduto a favore dei consorzi e delle imprese di acquacoltura e della pesca che provvedono alla cattura ed allo smaltimento della specie cosiddetta "granchio blu". Fondi aumentati ulteriormente e in maniera indiscriminata nel 2024 con il DL Agricoltura, approvato lo scorso luglio, che ha stanziato 12 milioni di euro a sostengo delle imprese, che si sommano ai 13,4 milioni già destinati per la filiera.
Un mini-tesoretto, insomma, di cui poco si conosce sulle modalità di gestione e gli esiti di investimento, tanto che le stesse autorità locali denunciano che di questi fondi hanno ricevuto solo una parte irrisoria, dichiarando anche di aver subito perdite per oltre 200 milioni solo a Porto Tolle (provincia di Rovigo).
In merito "all'indotto” del settore, lo stesso Ministero dell’Agricoltura nella relazione “sugli sforzi compiuti dall'Italia nel 2021 per il raggiungimento di un equilibrio sostenibile tra la capacità e le possibilità di pesca[1]” dichiarava che le vongole erano l’8.1% del ricavo complessivo con un valore 59,5 milioni di euro su tutto il territorio, destando qualche dubbio sulla reale entità dei danni al settore dichiarate dai diversi Comuni, causate appunto dalla presenza di questa specie alloctona.
La realtà del mercato è tristemente questa: la vongola è commercialmente più vantaggiosa del granchio blu e quindi il grande decapode color cobalto è diventato il nemico giurato.
Eppure, a volte, le specie alloctone sono viste come un importante “introito” ed ecco che allora non sono più una minaccia, ma una risorsa del mercato. Tra di esse una triste menzione la merita la Vongola filippina, assente sino agli anni Settanta e introdotta dall’uomo di proposito, oggi ubiquitaria nelle lagune del Veneto, divenendo “vongola verace” a tutti gli effetti.
Il nuovo Commissario dovrà farsi affiancare da esperti per poter svolgere un buon lavoro senza lasciarsi trasportare dai dettami economici del settore, già da anni in crisi a prescindere dalle specie “aliene”.
Dovrà mirare a convertire le attività di pesca, che da sole impattano sugli ecosistemi e sugli animali marini, commercializzando il “pescato” come se si trattasse di esseri inanimati, negandone completamente lil loro essere senzienti e la loro libertà. Dovrà - ci auguriamo – superare la concezione "dell’eradicazione” come unica misura possibile, visto che non ha nessuna utilità se non provocare altri danni e ulteriore sofferenza.
Gli stessi scienziati, infatti, affermano che gli sforzi per "l'eradicazione" e il controllo delle specie “aliene” marine hanno avuto un successo limitato, e sottolineano la necessità di rafforzare invece le misure di biosicurezza e di intraprendere piani di prevenzione, come adeguati trattamenti delle acque di zavorra, tutela dei predatori naturali di questi animali e creazione di network tecnici con i paesi mediterranei, in grado di condividere e mettere a punto pratiche non invasive e ben mirate.
Come ha scritto lo scorso 8 agosto il famoso fotografo subacqueo Alberto Luca Recchi: “prima diamo fondi pubblici ai pescatori per catturare i predatori del granchio blu e poi diamo fondi pubblici agli allevatori di vongole per risarcirli dei danni che provoca l’eccesso di granchi blu, causato anche dal fatto che abbiamo pescato troppi polpi e troppi pesci grazie agli incentivi alla pesca. Noi cittadini paghiamo due volte per ritrovarci con pochi pesci, pochi polpi e pochi granchi blu. Insomma, paghiamo per avere un mare più vuoto”.
A dimostrazione che la “scusatio” della perdita della biodiversità, menzionata senza cognizione di causa da politici e co., chiaramente è utilizzata ad uso ed “effettivo consumo” del settore.
[1] in ottemperanza dell’ art. 22 Reg. (CE) n.1380/2013