Giocare con la genetica per speculare su situazioni catastrofiche invece di porre reale rimedio ai problemi ambientali?
È nata Hilda, vitello frutto di un progetto di ingegneria genetica volto a ridurre le emissioni di metano grazie alla manipolazione genetica degli embrioni che stati modificati per bloccare il rilascio di gas serra nocivi quando erutta e produce aria.
La vitellina è nata nell'allevamento di Langhill, in Scozia e la notizia è stata lanciata dai ricercatori come il “futuro sostenibile degli allevamenti per continuare a fornire cibo nutriente alla popolazione, controllando al contempo l'impatto delle emissioni di gas serra sull'ambiente”.
Si tratta di affermazioni che rasentano la follia, un gioco macabro in cui gli animali, ancora una volta, sono le vittime, ma non sono le uniche.
Invece di trovare una soluzione attuabile e globalmente riconosciuta, come ridurre il consumo di proteine animali per la salute del pianeta e della specie umana, si arriva a modificare geneticamente gli embrioni (con fecondazione in vitro, prelievo di sperma da tori tramite eiaculazioni indotte spesso con scosse elettriche, creazioni di feti che non sopravvivono o nascono morti e gestazioni dolorose e fallimentari) per abbindolare industria, istituzioni e cittadini di presunti allevamenti etici, quando di etico non c'è nulla, partendo dal modo in cui vengono creati gli animali, a come vengono alimentati e cresciuti, fino alla qualità delle loro carni.
A tal proposito è bene sottolineare come giocare con gli esseri viventi modificandone il codice genetico sia un pericolo che spesso l'UE ha rifiutato, sia per l'impatto su altre specie sia per gli effetti sull'uomo di cui non ci sono studi o attendibili analisi scientifiche a lungo termine.
La stessa EFSA (l'Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) ha valutato i rischi posti dagli animali prodotti utilizzando la tecnologia genetica o da alimenti o mangimi da essi ottenuti, vietando la vendita sul mercato sia degli alimenti che dei mangimi ottenuti da animali geneticamente modificati.
Inoltre, l'utilizzo di animali OGM può portare a effetti collaterali indesiderati e alterare gli ecosistemi in modo irreversibile.
Noi di LAV ribadiamo il totale NO a ogni forma di sfruttamento di qualsiasi specie.
E' bene ricordare che cambiare il corredo genetico di un organismo vivente comporta rischi per l'uomo e dolore più elevato per gli animali, tant'è vero che per le specie utilizzate in laboratorio si parla di nascita con fenotipo sofferente e necessità di particolari tutele perché più sensili al dolore, questo vale anche per gli animali allevati per fini zootecnici. Solo come esempio, ricordiamo che i suini alimentati con mangimi Ogm soffrono di infiammazioni allo stomaco a livelli molto più acuti rispetto a quelli alimentati con mangimi non geneticamente modificati [1].
Il metano prodotto dagli allevamenti è 28 volte più potente dell'anidride carbonica nel riscaldare l'atmosfera, rendendo urgente la necessità di strategie per ridurne l'impatto dal settore zootecnico, al trasporto aereo e navale, ma nonostante il loro impatto rilevante, non c'è una concreta strategia (e investimento) per il cambiamento culturale ed economico e non è certo giocando con il DNA che si può trovare una soluzione, le possibilità di un futuro diverso sono sotto gli occhi di tutti, basterebbe saperli aprire.
Gli allevamenti rappresentano un rischio molto elevato, oltre che per gli animali, per tutta la biosfera e le emissioni che producono inquinano acqua, aria e terra.
La portata del problema è individuabile nel fatto che gli agenti inquinanti del modello allevatoriale industriale hanno una maggiore capacità climalterante rispetto ai gas serra generati dalla combustione di fonti fossili. Per quanto riguarda il comparto dell'agricoltura, il 79% delle emissioni di gas serra si deve, infatti, all'allevamento.
Ogni tipo di allevamento, a seconda della specie allevata, causa un inquinamento differente, che incide in maniera diversa sulla biosfera in cui vive. ISPRA ha affermato che il 30,2% delle emissioni di ammoniaca si deve alle vacche da latte, il 14% dai suini e il 12 dagli avicoli. La restante percentuale è “causata” da tutti gli altri bovini allevati.
È evidente che non sono gli animali in quanto tali il problema.
La presenza di un elevato numero di individui su spazio ristretto è responsabile di emissioni climalteranti, tra cui grandi quantità di metano (secondo FAIRR del 44% delle emissioni globali di questo gas).
La vera alternativa non è quella di continuare a sostenere il comparto zootecnico, addirittura con scellerate modifiche genetiche sugli animali allevati.
L'unica strada possibile è prendere atto del fatto che l'attuale sistema alimentare, orientato sulla mera logica del profitto, sta collassando su sé stesso e che è necessaria è una riduzione drastica e rapida del numero di individui allevati, nell'ottica della necessaria transizione a modelli alimentari davvero sostenibili.