La Corte di Appello di Napoli aveva confermato la condanna ad un anno di reclusione a carico di un pluripregiudicato per reati specifici, napoletano e “figlio d’arte”, uno tra i più noti trafficanti di cardellini a livello nazionale.
L’uomo era stato denunciato per l’ennesima volta nell’aprile del 2013 nel corso di un’operazione dei Carabinieri di concerto con la LIPU e con l’Osservatorio Zoomafia LAV, perché deteneva 35 uccelli, stipati in piccole gabbie e in precarie condizioni, tali da far scattare l’accusa di maltrattamento di animali, 3 reti da uccellagione e 9 gabbie-trappole.
Risultano particolarmente interessanti le motivazioni che hanno spinto la Corte di Appello a confermare la condanna.
Si legge nella sentenza: “Va rimarcato che si trattava di cardellini, fringuelli, verzellini, lucherini, una calandra e un fanello, costituenti specie protette che non possono essere detenuti per la commercializzazione. Inoltre, è stato accertato che gli animali erano chiusi in gabbie piccole e sporche; il fondo delle gabbie era pieno di escrementi; alcuni uccelli erano in imbrigliati con un filo, presentando quindi l'imbracatura con la quale gli uccelli vengono solitamente usati come esche vive, per i bracconieri. Quanto riferito dall’imputato in ordine alla detenzione degli uccelli che, in taluni casi, erano imbracati e legati con una cordicella e che, pertanto, si trattata di un comportamento venatorio consentito dalla legge, non assume alcun rilievo. Ai fini della configurabilità del reato di maltrattamento di animali, di cui all’art. 544 ter c.p., non assumono effetto esimente le disposizioni di cui alla L. 11 febbraio 1992 n. 157 di disciplina della caccia, atteso che tale legge non esaurisce la tutela della fauna nell’espletamento delle pratiche venatorie. (…) Non v’è dubbio che l’imputato abbia detenuto tutti questi animali non solo violando la legge – che ne vieta la vendita, trattandosi di specie protette -, ma anche facendoli stare in situazioni così disagevoli da determinarne la sofferenza. Per confermare la piena sussistenza del reato contestato, segnala che la giurisprudenza, sulla sussistenza della fattispecie criminosa in parola, ha chiarito che non occorrono lesioni necessariamente fisiche, ma è sufficiente la sofferenza degli animali, poiché la norma mira a tutelarli quali esseri viventi in grado di percepire dolore, anche nel caso di lesioni di tipo ambientale e comportamentale. In merito alla sottoposizione a sevizie o a comportamenti, fatiche o lavori insopportabili per le caratteristiche etologiche dell’animale, assume valenza qualsiasi azione caratterizzata da un’evidente e conclamata incompatibilità con il comportamento della specie di riferimento come ricostruito dalle scienze naturali. Sulla scorta di tali principi, le condotte dell’imputato, che costringeva gli uccelli a stare in uno spazio angusto e sporco, senza poter volare liberamente, hanno causato patimenti fisici e psichici agli uccelli imprigionati, anche denotando sotto il profilo psicologico, la coscienza e volontà di farli soffrire senza alcuna necessità”.
Ciro Troiano
Criminologo, responsabile Osservatorio Zoomafia LAV