Un altro modello promettente e sofisticato per testare i farmaci su “sistemi umani semplificati”, arriva dalla biotech Aspect Biosystems della University of British Columbia, che ha messo a punto una stampante 3D di tessuto umano, a partire da cellule prelevate dal paziente stesso, utile per la valutazione degli effetti collaterali dei farmaci e per realizzare una cura più efficiente e specifica, in relazione al profilo genetico della persona. Un progetto simile si sta sviluppando anche ad Edimburgo, dove Alan Faulkner-Jones, della Heriot Watt University, ha costruito un modello sperimentale in cui nel tessuto umano viene iniettato il Bio-ink, costituito da un mix di cellule staminali e idrogel di supporto.
Entrambi i modelli possono, e devono, sostituire il passaggio pre-clinico dei farmaci testati su animali, che al momento vengono cestinati in oltre il 90% dei casi perché gli esiti ottenuti sugli animali non corrispondono agli effetti riscontrati nell’uomo.
Inoltre, come se non bastasse, nel 50% dei casi, i farmaci danno gravi reazioni avverse anche dopo essere stati commercializzati: statistiche inaccettabili ed eticamente inammissibili per i milioni di cavie umane e animali, vittime di questo obsoleto e lucroso sistema.
Ricostruire la complessità dell’uomo, chiaramente diverso da qualsiasi altra specie, per una serie infinita di parametri, spesso concatenati, oggi è una realtà: esistono infatti chip, composti da diverse aree corrispondenti ai vari tessuti, come fegato, cuore, polmoni, reni, etc., che riproducono, in scala ridotta, l’intero corpo umano e le reazioni a molecole potenzialmente tossiche o curative, come quelle dei farmaci.
Sul tema dei metodi alternativi, si è espressa anche Lusiana Pasquini, dell’Open BioMedical Initiative, un progetto italiano per la realizzazione e la diffusione di progetti BioMedicali, la quale sottolinea come “Essere in grado di produrre tessuti umani bio-printed per sottoporli a test farmacologici ridurrebbe l’inaffidabilità intrinseca della sperimentazione sugli animali, con notevole risparmio sia in termini di costi sanitari legati allo sviluppo dei farmaci che in termini di riduzione di effetti collaterali e inefficienze, comunque sempre presenti”.
Investire nelle alternative è anche un obbligo legislativo, eppure nel nostro Paese sono stati stanziati appena 500.000 euro per implementare la ricerca in questo campo, una cifra ridicola che, di fatto, non consente all’Italia di diventare competitiva con le realtà internazionali.
Michela Kuan
Responsabile LAV Settore Vivisezione