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"La vivisezione non esiste"

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Ultimo aggiornamento

lunedì 25 novembre 2013

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Quante volte ci siamo sentiti ripetere, negli ultimi tempi, grazie a tre parziali, ma positivi, risultati (stop di Green Hill, articolo 13 della Legge di delegazione europea, iniziativa Stop Vivisection) che stanno iniziando a sgretolare il muro della sofferenza e della antiscientificità rappresentato, come dicono loro, dalla sperimentazione sugli animali, dal ricorso ai modelli animali.

E anche noi, della Lega Anti Vivisezione - ci hanno detto - dovremmo cambiare nome, perché induciamo l’opinione pubblica a credere che la vivisezione esista ancora …

Il termine vivisezione, come ci ha insegnato Hans Ruesch fin dagli anni ’70, fa paura. 
A chi la fa, a chi la sostiene. 

Come il termine guerra, che si può chiamare anche “no fly zone”, ma si tratta sempre di guerra, morte e distruzione.

Eppure, vivisezione, è un termine utilizzato normalmente come sinonimo di test su animali, a prescindere dal “sezionamento in vivo” o meno, da parte di autorevoli dizionari, dall’Enciclopedia Britannica in giù.  Ma, forse, gli antiquati e anacronistici difensori della dittatura della vivisezione (“si deve fare solo questa ricerca”) non hanno nemmeno a disposizione un computer con il quale documentarsi sui metodi sostitutivi o fare una ricerca per parola…

E' bene ricordarlo, il termine vivisezione è presente anche nella Legge che “regola” la materia e che permette in Italia l’uccisione di quasi 900mila animali l’anno,  poiché il Ministero della Salute ha mantenuto vigente  due commi dell’articolo 1 della normativa del 1931. 

Soprattutto, la realtà, ad oggi, è che scorrendo solo alcune delle richieste di autorizzazioni in deroga e delle pubblicazioni dei vivisettori, si può leggere, fra l’altro: “frattura chiodi centri midollari”, “ulcere”, “lesioni cerebrali”, “stimolazione profonda con elettrodi”, “danni cerebrali acuti”, “danni renali cronici”, “rigenerazione lesione spinale e nervo ottico”, “reattività encefalo suino a contatto con colla chirurgica”. 

A queste definizioni va sommata l’ascesa, lenta ma costante, delle dolorose sperimentazioni per le quali i laboratori autorizzati chiedono il non ricorso all’anestesia, arrivate a 203 nel 2009 (ultimo dato disponibile) cioè più di una ogni due giorni, comprese domeniche e festività. Sapete dove? Dal San Raffaele di Roma alle Università di Trieste e Parma, dal Cnr di Pisa al Cardarelli di Napoli, dal Mario Negri (Milano) al Telethon Tigem in Campania, dalla Wieth Lederle di Catania alla Pharmaness di Cagliari. Un elenco da brividi, come svela un nostro nuovo Rapporto.

Cercano di negare l’evidenza, di tenere nascosta una tragica realtà, di difendere la loro incapacità di innovarsi. Vogliono però cambiare le carte in tavola fin dal nome della sporca guerra che conducono, certo non a nostro nome. E, nella sostanza, stanno cercando nel recepimento della direttiva europea del 2010 - del cui Schema, non ancora Legge, circolano testi diversi e quindi attendiamo la versione ufficiale della Presidenza del Consiglio alle Camere per il parere – di violare l’articolo 13 della Legge di delegazione europea per continuare a sperimentare anche senza anestesia e senza analgesia. 

Non è, almeno questa, vivisezioneLa nostra battaglia è per la salute e la vita di tutti. La loro no. Questa è la differenza.

Gianluca Felicetti, Presidente LAV