Chi vive vicino agli allevamenti continua, notte e giorno, a fare segnalazioni al 112 per sversamenti e cattivi odori.
È tanto il fermento sulla possibile apertura di un nuovo allevamento di polli nel comune di Maiolo, in Valmarecchia. Le preoccupazioni e le proteste si levano da diversi versanti, dai cittadini che si sono sentiti scavalcati dalle istituzioni locali e si sono organizzati in un comitato, fino ai rappresentanti degli associati Confcommercio e Confesercenti, preoccupati per il grande impatto che tale allevamento avrà sull’ambiente e sul territorio nel suo complesso.
Preoccupazioni legittime e fondate, considerato l’impatto che un allevamento industriale ha in termini di emissioni di gas climalteranti e inquinanti, di stravolgimento dell’ecosistema e del territorio circostante, e di conseguenze dirette sulla vita di tutti i residenti.
Ma vale la pena uscire dal singolo caso, che pur merita grande attenzione, e dalla logica del NIMBY, un’espressione inglese che sta ad indicare “Not in My Back Yard”, ovvero “non nel mio giardino”. Sono ormai all’ordine del giorno le proteste di cittadini che si sentono accerchiati da queste vere e proprie fabbriche di animali ed espropriati della possibilità di fruire del territorio come hanno sempre fatto.
E la questione sta proprio qui: nessuno vuole un nuovo allevamento dietro casa, ma finché il sistema alimentare non diventa in sé e per sé un tema centrale della discussione politica e della consapevolezza dei singoli, e con esso la necessità di traghettare produzioni e consumi verso l’alternativa vegetale, tali proteste avranno forse successo localmente, senza incidere sulla back yard di qualcun altro, e quindi sulla collettività.
Gli animali rinchiusi negli allevamenti, ammassati, senza possibilità di vivere rispettando le proprie esigenze, sono ovunque. Sono nel giardino di tutti, solo che non si vedono.
In Italia sono oltre 630 milioni gli animali terrestri macellati ogni anno, da qualche parte devono pur stare. E se è vero che la crudeltà si è spinta molto avanti, prevedendo spazi angusti e sovraffollati, per limitare l’occupazione del suolo e confinare decine di migliaia di animali in capannoni ben nascosti alla vista, è pur vero che prima o poi, tutti, si trovano direttamente coinvolti nella prossima nuova apertura.
E allora emerge ancora una volta l’urgenza di ripensare totalmente questo modello alimentare, crudele con gli animali ed ingiusto verso ambiente e persone.
Noi continueremo a batterci perché nessun animale sia più fatto nascere e allevato in condizioni inaccettabili con il solo scopo di diventare cibo. Per gli animali e per tutti noi.