La clonazione è stata ottenuta tramite il prelievo di tessuto del bassotto Winnie il cui DNA è stato poi impiantato nell’ovulo che ha dato origine a un embrione trasferito, a sua volta, in una madre surrogata: una “catena di montaggio” con un alto indice di insuccesso, dove gli animali sono trattati alla stregua delle macchine in fabbrica.
Ma non si tratta di un caso isolato: la Sooam Biotech Research Foundation ha già prodotto i cloni di circa 500 cani, con un procedimento che costa circa 60 mila sterline.
Al di là degli aspetti emotivi di chi pensa di poter rendere immortale un animale, le tecniche di clonazione nascondono una logica fondata su interessi economici e speculazione sulla vita di animali “da laboratorio”, finanziata dalle vane speranze di chi ha perso, o sta perdendo, il suo compagno a quattro zampe e pensa di poter manipolare la vita a nostro uso e consumo.
L’idea di poter ordinare la nascita di cani come oggetti è ripugnante, sia dal punto di vista etico che scientifico. L’indice di fallimento per la clonazione rimane altissimo, quindi anche in questo caso l’esperimento prevede lo sfruttamento e la sofferenza di animali che vengono usati come bacini di produzione di animali-copia.
L’essere vivente è il frutto di varie componenti e quella genetica ne rappresenta al massimo il 50%: è impensabile ottenere una copia identica dell’individuo che ci è stato vicino.
Il ricorso alle tecniche di clonazione è ancora più grave considerando i molti milioni di cani in attesa di un’adozione nei canili.
La clonazione ha un’elevata percentuale di insuccesso e determina chissà quanti embrioni, feti e cloni malati e poi soppressi, dei quali però non viene data notizia.
Uno studio - basato su dati INFIGEN, una delle multinazionali clonatrici, e su studi di Atsuo Ogura del National Institute of Infectious Diseases di Tokyo - pubblicato anche dalla testata inglese New Scientist, afferma che il 75% degli embrioni animali clonati muore entro i primi 2 mesi di gravidanza e comunque il 25% nasce morto o con deformità incompatibili con la vita. Da 100 cellule di partenze mediamente una sola diverrà un animale “adulto e sano”. Gli individui malformati vengono soppressi alla nascita oppure vengono sottoposti ad eutanasia dopo aver sofferto per un’imprevista malattia. Ecco perché la notizia di tali esperimenti viene resa pubblica solo dopo alcune settimane o mesi dall’evento, ovvero quando l’animale sopravvive almeno alla prima fase della sua esistenza da “creatura da laboratorio”.
Michela Kuan, responsabile LAV settore Vivisezione