La psicologa e saggista analizza gli ultimi terrificanti eventi di cronaca.
Fabriano (Ancona): alcuni studenti dell'istituto tecnico agrario sono all'interno di un'azienda agraria, dove si trovano animali cosiddetti da allevamento, nello specifico pecore. Alcuni dei ragazzi cominciano a divertirsi maltrattandole: uno in particolare calcia loro addosso un pallone, facendole fuggire spaventate: un agnellino però non ce la fa a seguire il gruppo e resta indietro. E' contro di lui che si scatena il ragazzo che lo afferra, lo lancia fuori dal recinto, lo riacciuffa, lo scaraventa di nuovo dentro: la bestiola riporta la paralisi di tutti e quattro gli artie muore dopo tremenda agonia. Gli altri studenti pare abbiano assistito divertiti allo scempio.
Lanusei (Nuoro): un gattino viene lanciato da un ponte da un ragazzino minorenne: a quanto finora emerso, un'amica, anche lei giovanissima, lo ha aizzato a farlo e un gruppo di amici ha tifato. Il gattino è morto.
Sono solo i due episodi più recenti di un lungo elenco che, solo negli ultimi mesi, ha visto un'altra capretta uccisa a calci in un agriturismo ad Anagni (Roma) nel corso di una festa di compleanno per un diciottenne della Fiuggi bene, tra le risate degli amici. E poi il gatto fatto esplodere a furia di botti a capodanno; il coniglietto ammazzato nel veronese da bambini di 5 anni e via continuando lungo una galleria carica di orrore.
CHE COSA STA SUCCEDENDO?
Lo chiedono in tanti. Siamo di fronte ad una drammatica escalation della violenza contro gli animali?
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La risposta è difficile, perché le
dimensioni del fenomeno devono tenere conto del numero oscuro, vale a
dire di tutti i casi che, ieri come oggi,
non vengono alla luce.
Quello che è certo è che si tratta di una realtà inquietante: anni fa (2016/2017), la Leal
aveva monitorato il susseguirsi di singoli casi, attraverso la raccolta di articoli
di giornale che avevano dato vita a malloppi
di centinaia di pagine, le cui stesse dimensioni e i cui contenuti
insopportabili per livello di crudeltà si pensava avrebbero mobilitato
l'attenzione delle autorità, che invece rimasero silenti.
Dati aggiornati emergono dal Rapporto Zoomafia
2022 della LAV, che parlano di una denuncia per maltrattamento di animali che
avviene mediamente ogni 55 minuti. Si tratta di dati inevitabilmente incompleti in quanto circoscritti a quelli denunciati agli
organi competenti o divenuti conoscenza
comune in quanto riportata su stampa o social: legittimo pensare di essere
davanti alla punta di un iceberg.
Anche perché non si può ignorare ciò che emerge da un altro incredibile
osservatorio a livello internazionale: si tratta delle denunce, apparse su
Indipendent e Newsweek, riferite a video contenenti crudeltà di vario livello
su animali (da quelle non intenzionali alle più sadiche) che, tra il luglio
2020 e l'agosto 2021, raggiunsero 5 miliardi 300 mila visualizzazioni grazie a
oltre 5.000 link: portarono all'emersione di un fenomeno inaspettato, scoprendo una realtà smisurata di utenti di
quelle violenze: non perpetratori, ma pubblico ansioso di assistere, che si muove in un universo contiguo a quello
dei responsabili.
Circoscrivendo il fenomeno alla realtà di casa nostra, i dati disponibili richiamano ad un unico elemento positivo, vale a dire il crescente aumento della sensibilità nei confronti della sofferenza animale, che induce a reagire agli scempi contro di loro con uno sdegno in grado di mobilitare un'attenzione mediatica un tempo impensabile.
Nello sforzo di individuare quelli che sono i tratti comuni di questa realtà non precisamente quantificabile, ma indiscutibilmente enorme, un dato molto diffuso è trattarsi di atti compiuti da giovani e talvolta giovanissimi, i quali tendono ad agire la violenza in gruppo.
LA PSICOLOGIA DEI GRUPPI NON E' LA SOMMA DELLE SITUAZIONI INDIVIDUALI
E la psicologia dei gruppi non
è la somma di singole situazioni individuali, come bene intuì lo psicologo e
sociologo francese Gustave Le Bon che già
nel 1895 ne parlò diffusamente in un saggio, “Psicologia delle folle”, divenuto
un testo di riferimento, ancora oggi fondamentale.
Spesso è la presenza degli
altri a dare l'avvio a particolari comportamenti che molto probabilmente non
verrebbero agiti se il responsabile si trovasse da solo: è un contesto che fa sentire più forti e sicuri, meno
responsabili; agisce da attivatore ed eccitatore con la propria approvazione,
urlata o meno che sia, e porta a
divenire altro da quello che normalmente si è: le emozioni, che svegliano l'attenzione di ragazzi spesso
annoiati, in cerca di qualcosa che li ravvivi un po', usurpano lo spazio del
pensiero. Il tutto oggi amplificato all'ennesima potenza dall'immancabile
approdo sui social dove la visibilità, se non acquisibile per meriti, la si
ricerca per demeriti e dove il proprio valore spesso traballante si
rinvigorisce grazie ai like, nuovo strumento di valutazione universale.
Se questo è l'ultimo atto della dinamica in atto, che ben si attaglia a molte delle situazioni di cui si sta parlando, le cause più profonde vanno ricercate in un'origine composita, dove elementi bio-psico-sociali convergono a dare l'avvio agli atti di violenza.
Per meglio individuare l'assetto psichico degli autori di questi crimini contro animali indifesi, sarebbe estremamente interessante fossero previsti per i responsabili approfondimenti psicologici o psichiatrici, vere e proprie perizie simili a quelle messe in atto sugli autori di crimini contro gli umani.
Siamo
lontani anni luce in Italia dal dare corpo ad iniziative di questo genere: non
interessa per il motivo semplicissimo che, in fondo, l'importanza attribuita
agli animali non umani è talmente bassa che non si ritiene valga la pena usare
tempo e denaro per chiarire la dinamica della crudeltà contro di loro come
passo essenziale per contrastarla.
In questo modo non si acquisiscono elementi
di adeguata conoscenza, che non siano quelli del tutto visibili, rintracciabili
nella evidente assenza di quella forma di empatia che condurrebbe a
rispecchiarsi nella sofferenza dell'animale torturato. O in tratti di sadismo, che emergono nel piacere
derivante dal godere di quella sofferenza. O ancora in forme di macismo, che inducono a far coincidere
l'idea di forza con quella di violenza.
Ma si deve andare oltre e riferirsi al modellamento delle esperienze vissute in famiglia e al tipo di modelli offerti, alla possibile esposizione a forme di violenza subite o assistite, che sono il possibile brodo di cultura dei futuri atteggiamenti.
SOCIETA' CHE SI RITENGONO NON VIOLENTE
Oltre ancora, è il contesto sociale ad essere meritevole di considerazione: e qui il discorso si allarga ad includere tutte le forme di maltrattamento e di abuso contro i non umani che sono la norma accettata anche in società come la nostra che si ritengono non violente.
Proprio in questi stessi giorni, in cui infuriano le reazioni agli atti di cui si è detto, giunge la notizia che a Ardia di Sedilo (Oristano) viene registrata la morte di due cavalli e il ferimento di un'altra decina nel corso di quella che viene ritenuta una manifestazione tradizionale, consistente nel lanciare i cavalli in una corsa sfrenata, a velocità folle, in un percorso scosceso e dissestato davanti ad una folla plaudente, vociante, entusiasta. Dove è la differenza rispetto al tormento fino alla morte di un altro animale, tra il vociare eccitato dei compagni?
Anche nel caso di Ardia, si tratta con tutta evidenza di una forma brutale di maltrattamento, che però, lungi dall'essere sanzionata, viene esaltata attribuendole un fantomatico valore culturale da rintracciare all'interno di una tradizione, reale o farlocca che sia.
Magicamente però il pubblico, e i ragazzi in particolare, dovrebbero cogliere differenze inesistenti tra un'azione singola da ritenere oscena e una collettiva, dove la violenza è moltiplicata per il numero degli animali coinvolti, da considerare valore culturale.
Quello di Ardia è ovviamente solo un esempio, scelto per la sua contiguità temporale con gli altri episodi in esame: il discorso va esteso ai moltissimi palii che in tante città italiane, a partire dall'intoccabile Siena, vedono ogni anno in date stabilite torturare animali inneggiando alla meraviglia della competizione, come sempre intrisa di macismo.
LE INNUMEREVOLI FORME DI MALTRATTAMENTO
E il discorso va esteso a tutte le innumerevoli forme di maltrattamento animale da cui siamo circondati, regolarmente mistificate, di cui, in altri termini , viene offerta una narrazione che le connota in modo positivo negandone gli evidentissimi aspetti riprovevoli: cavalli impossibilitati a qualunque movimento libero perché aggiogati a carrozzelle per la gioia dei turisti, paraocchi, morso in bocca, redini e frusta da ordinanza; animali soggiogati nei circhi; rinchiusi nelle gabbie; animali negli acquari dei ristoranti da cui estrarli per essere uccisi al momento; infinito campionario di animali ridotti in pezzi sui banconi delle macellerie dei supermercati. O nelle macellerie equine, dove smettono di essere animali d'affezione, idolatrati per la loro forza, bellezza, potenza, anelito alla libertà per diventare “morsi di equino” di cui parte dell'Italia pare essere ghiottissima, e avere imparato a “macellare più facilmente il puledro..il cui aspetto roseo è particolarmente gradito al consumatore” . Sic!
E davvero non si può tacere del fatto che, ad un passo dalla Fabriano che esprime sdegno per l'agnellino ucciso dallo studente, da 23 anni a questa parte in agosto si celebra la Sagra dell'Agnello, con tutti gli altri agnellini uccisi tra sofferenze analogamente feroci giusto per alimentare barbecue estivi, neppure sfiorati da un'ombra di riprovazione.
Insomma, viviamo in una società davvero dissociata rispetto agli animali non umani, che in piccolissima parte idolatriamo come preziosissimi compagni di vita, in grandissima parte torturiamo e uccidiamo anche solo perché per molti risulta divertente, come accade nei territori di caccia o di una pesca incredibilmente definita sportiva.
A tutto ciò pretendiamo che si adeguino i bambini e i giovani che non si capisce attraverso quali tortuosi insostenibili ragionamenti dovrebbero fare propria la dissonanza cognitiva che è la forma diffusa di sdoganamento delle nostre adulte illogicità mentali.
La stragrande maggioranza delle persone fa coincidere il proprio percorso di crescita con l'accettazione obbediente e acritica delle regole della società intorno; una minoranza, piccola ma in espansione, mantiene più saldo il senso di realtà non adeguandosi ad una narrazione disorganizzata e attribuisce uguale dignità a tutti gli animali in tutte le situazioni.
I ragazzi, e nello stesso modo i tanti adulti, che si macchiano di crimini contro la bestiola di turno hanno introiettato il modello, secondo cui degli altri animali si può fare ciò che si vuole perché sono al nostro servizio: ci piace mangiarli, cavalcarli, indossarli, domarli, addomesticarli, pescarli, cacciarli….. Ma non hanno messo bene a fuoco che in certe situazioni la regola non vale più e le stesse azioni, a volte sulle stesse specie, diventano inaspettatamente riprovevoli.
Se la cultura in cui siamo immersi il rispetto per umani e non umani lo mettesse in pratica, diventerebbe riferimento per ognuno. Dal momento che lo fa ad intermittenza, in un'ottica utilitaristica e antropocentrica, il problema non può che ripresentarsi in continuazione e dare vita a quegli episodi che tanto aborriamo.
E' ancora la cronaca di questi giorni a fornirci esempi eclatanti di questa diffusa dis-organizzazione del pensiero, incapace di contenere al proprio interno gli aspetti compositi della realtà: Matteo Salvini, non uno qualunque ma persona insignita dell'autorevolezza de ruolo di Ministro della Repubblica, ha fatto propria l'indignazione popolare contro i responsabili dell'episodio del gattino di Lanusei, definendoli su Instagram con linguaggio non propriamente istituzionale “Maledetti schifosi!”. Ha chiesto quindi seduta stante inasprimento delle pene trattandosi di “criminali da trattare come criminali”, e si è scagliato contestualmente contro i genitori colpevoli di dis-educare i figli al rispetto dei “nostri compagni animali”. Contestualmente in parlamento il suo stesso partito proponeva leggi in favore della caccia libera, onnipresente, con reti, gabbie, trappole, visori notturni, sette giorni su sette: non per qualsivoglia vera o presunta necessità, bensì per la gioia e il diletto di quei passionari dei cacciatori. E non fa nulla se a pagarne l'enorme prezzo sarebbero i “nostri compagni animali” trasformati per l'occasione in nostre prede.
TRATTARE GLI ALTRI ANIMALI SEMPRE DA ESSERE SENZIENTI
L'inasprimento delle pene sarà certamente utile per spingere ad introiettare la convinzione che i crimini contro gli altri animali non sono bagatellari, ma gravi, da sanzionare con decisione. Non avranno nessuna credibilità se andranno di pari passo con la difesa ad oltranza della loro uccisione mistificata come sportiva e con il colpevole soprassedere su ogni iniziativa tesa a liberarli da tutte le forme di abuso di cui le leggi li rendono vittime, con la mancata condanna delle sofferenze che le nostre abitudini supportano.
Perché se vogliamo che i modelli
di relazione con gli altri animali siano basati sul rispetto, è necessario che
sempre e da chiunque siano trattati secondo quanto la scienza sostiene, vale a
dire quali esseri senzienti, sensibili al dolore, e dotati di autocoscienza: in
quanto tali da difendere da ogni forma di maltrattamento, non solo da quello
agito da singoli individui contro singoli animali, ma anche dalla violenza
delle leggi dello stato.