Morti tra le fiamme senza la possibilità di fuggire perché prigionieri di una catena dalla quale era infattibile liberarsi. Una morte che non deve ripetersi mai più!
Per questo abbiamo scritto a tutti i Sindaci delle zone colpite dai roghi affinché emanino da subito un’Ordinanza di divieto di detenzione a catena.
“L’uso della catena, oltre a impedire agli animali di mettersi in salvo nel caso di calamità e incendi, compromette in ogni caso la libertà di movimento degli animali con grave danno e pericolo per la loro salute anche psichica e per la loro vita – dichiara Roberto Corona di LAV Cagliari – Purtroppo si tratta di un fenomeno ancora tollerato in molte zone d’Italia, di cui non è difficile comprendere la gravità: centinaia di animali costretti a una vita interrotta, prigioniera, sottoposti a stress e sofferenza, e a seri rischi di incolumità!”
Al dramma degli animali morti perché legati alla catena va aggiunta l’impossibilità, riscontrata dai nostri volontari impegnati nelle ricerche di animali superstiti, di ricongiungere i cani smarriti ai legittimi proprietari, a causa della mancata microchippatura degli animali. Un fenomeno ancora troppo diffuso nella zona, per cui chiediamo alle istituzioni, Comuni e ASL in primis, di farsi promotori di campagne di microchippatura ad hoc.
“Per accelerare i tempi e dare un nostro contributo, non solo in termini di aiuti diretti agli animali, ma anche in di prevenzione di ulteriori terribili morti, abbiamo predisposto e inviato ai sindaci una proposta di Ordinanza che potranno da subito adottare” conclude Alessia Corbu, di LAV Sassari.
Riteniamo indispensabile anche che il divieto di detenzione dei cani sia fatto proprio dalla legge regionale per la tutela degli animali e la prevenzione del randagismo della Regione Sardegna e ha già presentato alla Giunta Regionale ai Capigruppo del Consiglio Regionale una proposta di legge della quale auspica una celere approvazione, allineando così la Sardegna ad Abruzzo, Campania, Emilia-Romagna, Lombardia, Puglia, Umbria e Veneto che ne hanno vietato l’uso dimostrando attenzione verso una pratica che costringe gli animali all’isolamento e a una vita di sofferenze.