Un provvedimento che ha come unico scopo quello di preservare le manifestazioni stesse.
Il DPCM sulle manifestazioni popolari con equidi, in vigore dall'11 marzo, presentato come un passo avanti nella tutela del benessere animale, è in realtà un provvedimento che ha come unico scopo quello di preservare le manifestazioni stesse, garantendone la continuità nel nome di tradizioni che si vorrebbero intoccabili.
Un regolamento che finge di proteggere gli animali mentre li condanna a restare strumenti di spettacolo, normalizzando il loro sfruttamento e lasciando, di fatto, inalterato il quadro che si proponeva di superare.
Al di là della retorica sul rafforzamento delle misure di tutela, il decreto si caratterizza per disposizioni vaghe, prive di reali strumenti di controllo e, soprattutto, di un adeguato sistema sanzionatorio. I
Il risultato? Un impianto normativo che non tutela gli animali ma si limita a disciplinarne l’utilizzo, con l’unico obiettivo di garantire che questi eventi continuino a svolgersi senza troppe interferenze.
Non sorprende, quindi, la reazione entusiasta di chi organizza queste manifestazioni: se il decreto avesse davvero imposto regole più stringenti e incisive, il plauso non sarebbe arrivato.
A confermare la totale assenza di volontà di un vero cambiamento vi è anche l’incontro tardivo e fuorviante convocato dal Ministero della Salute, su invito del Sottosegretario Marcello Gemmato, con le associazioni LAV, IHP ed ENPA, che ha dato l'illusione di un confronto aperto con chi tutela gli animali quando, in realtà, il testo era già stato definito.
E mentre si giocano partite politiche e si siglano accordi di facciata, nelle piazze d'Italia i cavalli continuano a morire, si spezzano gli arti sotto il peso della velocità imposta, vengono uccisi lontano dagli sguardi del pubblico, perché un cavallo infortunato non è più utile. Sono vittime invisibili, il prezzo da pagare per il divertimento umano e per una tradizione che antepone lo spettacolo alla vita. Ancora una volta, lo Stato ha scelto di tutelare l’interesse di alcuni umani, non di tutti, sancendo normativamente lo sfruttamento degli animali invece di compiere quel passo necessario verso una società più giusta, in cui nessuna tradizione possa giustificare la sofferenza.
Nadia Zurlo - Responsabile Nazionale Area Equidi