L’interpellanza urgente sulla carne coltivata, presentata
dalla Deputata Evi ha avuto luogo questa mattina.
A rispondere, con dati
fuorvianti e opinioni antagoniste del progresso, l’On. Siracusano,
Sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio dei ministri.
Il Governo smetta di presentare dati parziali e inconcludenti in tema di carne coltivata, nascondendo il reale impatto degli allevamenti intensivi e privando l’Italia della possibilità di sviluppare un’industria agro-alimentare innovativa, sostenibile ed etica. LAV
L'interpellanza ha
avuto come argomento la richiesta di chiarificazioni circa la gestione della
superiorità del Diritto europeo su quello italiano e circa la natura delle
iniziative che si intende introdurre, qualora il responso dell’EFSA fosse
positivo in materia di carne coltivata, data l’avversità del Governo.
Le risposte
La Sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio dei
ministri, Siracusano, ha risposto negativamente enumerando dati e fatti
incoerenti e fuorvianti, primo fra tutti le stime delle emissioni di CO2 da
parte di carne coltivata e allevamenti.
Siracusano ha tacciato la produzione di alimenti da
agricoltura cellulare di emettere CO2, aspetto reale e comune a qualsiasi forma
di produzione più o meno industriale, contrapponendo l’impatto
dell’allevamento, presentato come poco inquinante, in quanto secondo
l’Onorevole produrrebbe solo metano, considerato migliore della CO2 perché
permanente in atmosfera solo 12 anni.
Nella sua risposta, Siracusano ha deciso di ignorare l’intero
ciclo produttivo della carne proveniente da allevamento, considerando
unicamente le deiezioni animali.
Soprassedendo sulla correttezza circa il
valore inquinante del metano (che pur essendo parte degli inquinanti climatici
a breve durata, è stato indicato dalla Commissione
Europea ugualmente pericoloso, perché avente un effetto dannoso 85 volte
superiore a quello della CO2), Siracusano ha deciso di decontestualizzare il
dato sulle emissioni derivanti da agricoltura cellulare e contrapporlo ad una
millantata sostenibilità degli allevamenti, dato confutato più e più volte non
solo dalla ricerca LAV “Il
costo nascosto del consumo di carne in Italia”, ma anche dell’ultimo
rapporto IPCC.
I dati reali circa l’impatto ambientale della produzione di
carne coltivata,
secondo una stima dell’istituto di ricerca CE Delft pubblicata dal Good Food
Institute, prevedono una riduzione delle emissioni fino al 93% in meno di
inquinamento atmosferico, il 95% in meno di utilizzo di suolo e il 78% in meno
di acqua, rispetto alla produzione di carne da allevamento, entro i prossimi 7 anni.
CE Delft ha modellato le stime relativamente a un futuro impianto di produzione di carne coltivata su larga scala, mostrando che, entro il 2030, il costo di produzione della carne coltivata potrebbe essere inferiore a 5,66 dollari al kg. Un simile costo di produzione consentirebbe alla carne coltivata di competere con diverse forme di carne convenzionale o di servire come ingrediente di alta qualità in prodotti a base di carne vegetale.
Siracusano, proseguendo nella sua risposta ed esponendo le
ragioni avverse alla carne coltivata, ha riportato i dati in maniera manipolatoria anche
relativamente i possibili rischi correlati alla produzione di carne da
agricoltura cellulare, dichiarando che sono stati identificati 53 rischi, senza
approfondire la natura di quest’ultimi.
La Sottosegretaria, con questa dichiarazione, si riferisce
al recente studio pubblicato dalla FAO, in cui sono effettivamente stati
analizzati i potenziali rischi lungo le quattro fasi del processo produttivo
cellulare. Siracusano evita di menzionare che dei 53 possibili rischi 51 sono già noti
e comuni ai tradizionali sistemi di produzione alimentare, i restanti due, pur
non essendo propri della produzioni di cibo, sono però già noti all'industria
delle terapie cellulari e biosimilari e a quelle che impiegano l’uso di OGM.
In riferimento all’allarmismo circa il
pericolo di contaminazione microbica, unico rischio su cui la Sottosegrataria si sofferma, si noti
che un tipo di rischio simile è presente anche nella produzione di alimenti
convenzionali e nelle colture cellulari per scopi terapeutici, nel caso della
carne coltivata il rischio non è superiore a quello derivante dalla produzione
di carne tramite macellazione.
Siracusano conclude la propria risposta asserendo che la
carne coltivata rappresenterebbe un pericolo non solo per la salute delle
persone, ma anche per il Made in Italy, dipingendo un immaginario campestre totalmente distaccato dalla realtà degli allevamenti intensivi.
La realtà
Il 99,8% dei polli italiani è detenuto in
allevamenti intensivi, il numero di bovini allevati secondo metodo biologico
(in allevamenti estensivi) compone meno del 7% del totale mentre la quasi
totalità dei suini nati negli allevamenti italiani subisce il taglio della
coda, illegale secondo la normativa UE se fatto su base routinaria, in quanto
sintomo di una gestione incompatibile con l’etologia degli animali. Senza
contare l’utilizzo ancora massiccio di gabbie anguste per moltissime specie
animali allevate a fini alimentari. Un panorama molto lontano da quello
millantato da Siracusano.
Tale rappresentazione idealizzata dell’allevamento in
Italia, come protettore dell’ambiente e delle tradizioni, ha il solo scopo di
pilotare l’opinione pubblica, privando i cittadini italiani di informazioni
cruciali riguardo la vera condizione degli animali detenuti negli allevamenti
industriali.
Condizione, quella di oltre 650 milioni di polli, galline,
conigli, tacchini, bovini, suini, caprini, ovini e quaglie, tra gli altri,
caratterizzata da continue sofferenze, privazioni e abusi, che non rispetta nessuna
delle necessità etologiche degli animali, oggettificati e sfruttati.
Condizione, quella mistificata da Siracusano, che porta alla macellazione di oltre
70 milioni di cuccioli (perché raramente gli individui superano l’anno di età)
ogni anno, a costi ambientali, sanitari ed etici insostenibili.
Lav si unisce all’insoddisfazione della deputata Evi alla risposta dell’On. Siracusano e chiede che il Governo si ravveda, abbandonando una decisione oscurantista, che rischia di far perdere all’Italia un’occasione di reale innovazione, maggiore sostenibilità e che potrebbe finalmente liberare dagli allevamenti milioni di animali.