Farci ammalare per poi venderci la cura: questa la logica deduzione dell’ennesimo studio condotto sugli animali. La ricerca, condotta dall’Università di Bari con la collaborazione delle Università di Pisa e di Padova, ha individuato la proteina p66Shc come mediatrice del segnale di distruzione delle cellule pancreatiche dei topi, collegato all’assunzione di grassi contenuti nell’olio di palma, con il conseguente rischio di sviluppare il diabete.
Lo studio, condotto sui topi privati della proteina p66Shc, vuole dimostrare che riducendo i livelli della proteina potrebbero essere ridotti anche gli effetti dannosi dell’assunzione di grassi saturi. Scopo ultimo, per stessa ammissione del responsabile del progetto, affiliato alla Società Italiana di Diabetologia, è “disporre di farmaci in grado di ridurre i livelli e gli effetti dannosi della proteina p66Shc”.
Una sperimentazione inaccettabile sia per ragioni scientifiche che per motivazioni etiche, non solo verso gli animali ma anche verso gli uomini. I danni relativi all’assunzione di olio di palma, infatti, sono noti da anni, così come è chiaro il suo collegamento con l’aumento di incidenza dell’obesità perché il processo di estrazione elimina dall’olio di palma ogni valore nutrizionale, lasciando invece i grassi a lunga catena implicati nell’aumento del colesterolo cattivo e nel diabete.
Tralasciando le dovute considerazioni legate alla deforestazione e ai danni su interi ecosistemi per le estese piantagioni di questa economica fonte di grassi vegetali, vale la pena chiedersi perché sperimentare l’eliminazione di una proteina invece che agire sulla causa, ovvero sugli stili alimentari e i consumi. Il sistema produttivo dell’industria alimentare ha fatto dell’olio di palma un ingrediente pressoché onnipresente, anche laddove non necessario; si pensi che è contenuto persino nel latte artificiale per neonati!
Ma anziché promuovere l’assunzione di alimenti più sani a discapito di cibi industriali, e sviluppare una sana e corretta azione di prevenzione delle malattie metaboliche che stanno affliggendo milioni di malati e piegando l’intero sistema sanitario pubblico, l’Italia si “macchia” di inutili e fuorvianti studi condotti su animali. Si sperimenta da decenni su topi e ratti per curare l’obesità e tutte le malattie correlate, millantando di poter trovare una cura miracolosa, in una corsa a porre rimedio al problema a posteriori con un farmaco sviluppato grazie a dati inattendibili su modelli animali.
Non è possibile continuare a delegare la nostra salute alle aziende farmaceutiche, da sempre alleate dell’industria alimentare, legate a doppio filo da un rapporto di causa-effetto: vendere merendine e bevande artificiali in età pediatrica, per poi curare con costosi farmaci l’adulto.
Michela Kuan
Responsabile LAV Settore Vivisezione