La crisi dei mangimi innescata dal conflitto ucraino e le immediate pressioni delle lobby zootecniche italiane, hanno subito portato il Governo a individuare le risposte emergenziali peggiori.
È di pochi giorni fa l’apertura del Ministro delle Politiche Agricole Patuanelli all’import di mais OGM per soddisfare i bisogni degli allevatori italiani; subito seguito a ruota dal suo sottosegretario Gianmarco Centinaio, che descrive un piano totalmente sbagliato: “consentire le importazioni anche dai Paesi che fanno uso di fitofarmaci in quantità superiori alle nostre come l’Argentina o che coltivano OGM come gli Stati Uniti”; “aggiungere un milione di ettari di campi alla semina primaverile (… svincolando) quei terreni dall’obbligo di rotazione delle colture previsto dalla Pac”; e 1,2 miliardi “a disposizione dell’agroalimentare per essere utilizzato in tempi brevi".
La crisi nell’approvvigionamento dei mangimi che l’Italia importa dall’Est è del tutto simile alla crisi energetica; parliamo cioè di sistemi ecologicamente insostenibili, per i quali non vi è dubbio – lo ribadiscono di continuo tutte le maggiori Istituzioni scientifiche - che occorrano riforme radicali. Mentre per la crisi del gas si levano voci critiche - ad esempio sull’opportunità di riavviare le centrali a carbone - che chiedono di investire di più e urgentemente sulle fonti rinnovabili, quindi di riformare il sistema e di farlo ora, sul settore alimentare grava un silenzio preoccupante, che sarà presto complice di scelte univoche e sbagliate.
“Al consumo nazionale di carne in Italia sono da associare 40 milioni di tonnellate di gas serra ; circa quante ne emetteva il carbone nei suoi anni di maggiore impiego. Per il carbone si sono definiti piani industriali di superamento di quella fonte. Ma neppure mezza riga normativa, o qualche euro di incentivi alla conversione sono mai stati previsti per ridurre il consumo di proteine animali. E ora che il settore zootecnico mostra tutte le sue fragilità, la soluzione non può essere quella di nuove regalie, deroghe ai vincoli ecologici della PAC cui si è arrivati faticosamente, abbassamento degli standard qualitativi a danno dei consumatori e dell’ambiente. Serve invertire la rotta e l’Italia deve urgentemente dotarsi di un Piano di Transizione Alimentare, componente essenziale di quello di Transizione Ecologica”, dichiara la LAV.
Secondo LAV è il momento di rivedere un sistema alimentare che divora infinitamente di più di quanto sarebbe necessario in termini di superfici e risorse, è altamente impattante a livello ambientale e climatico, è potenziale vettore di nuove zoonosi e si rivela economicamente molto rischioso. Ancor più: è un sistema che ha ingegnerizzato e industrializzato lo sfruttamento e la sofferenza di milioni di animali.
Gli impatti del ciclo di produzione e del consumo della carne, in termini di costi ambientali e sanitari, non sono infatti conteggiati nel prezzo che i cittadini italiani pagano quando acquistano cibi di origine animale, ma rappresentano un “costo occulto”, di 36,6 mld sostenuto dall’intera collettività, non compensata per il danno ricevuto.
“Nel tristissimo scenario di questo conflitto, per il quale auspichiamo un’immediata soluzione, molti invitano i cittadini a ridurre i consumi energetici, ad esempio abbassando i riscaldamenti domestici. LAV invita coloro che fanno consumo di carne nella loro alimentazione a una significativa, immediata riduzione di questo consumo. Ancor più, ogni italiano, ogni italiana, potrebbe da subito impegnarsi in un vero e proprio “sciopero della carne”: sarebbe un gesto concreto per ridurre i consumi proteici animali, per i quali esistono alternative semplici ed economiche, e dire così al Governo che la strada che sta prendendo è sbagliata; che gli interessi economici che alimentano i conflitti vanno risolti e non valgono la vita di nessuno; che è ora di riformare radicalmente il sistema alimentare, salvando miliardi di animali, se la specie umana vuole continuare ad abitare un Pianeta accogliente”.