L'attuale pandemia legata al COVID-19 è un'emergenza sanitaria che causa preoccupazione e sofferenza a livello globale. I Governi in Europa, e in tutto il Mondo, sono alla ricerca di soluzioni e stanno adottando tutte le misure possibili per cercare di risolvere la crisi che stiamo vivendo.
Tra le misure prese il fondamentale investimento nella ricerca volta a comprendere meglio la diffusione del virus, curarne gli effetti e prevenire la malattia. Gran parte di questo lavoro comprende complesse modellazioni matematiche, informatiche e studi epidemiologici riguardanti la salute umana, la biologia e il contesto ambientale, ricorrendo ad approcci integrati finalizzati al tentativo di identificare o sviluppare potenziali nuove terapie e un vaccino efficace.
Purtroppo, alcuni di questi studi hanno già implicato e implicheranno l'uso di animali come topi, furetti, gatti e scimmie geneticamente modificati, ma mai come in questo momento storico, dove miliardi di dollari, sterline ed euro sono impiegati verso la risoluzione del problema, è fondamentale che tutti gli aspetti etici e scientifici della ricerca siano valutati in modo solido e attendibile.
Chi difende strenuamente la vivisezione, invece, approfitta dello stato emotivo fragile, e della paura con cui affrontiamo ogni giorno, per promuovere la necessità della sperimentazione animale, rilasciando interviste a sostegno di questa tesi e creando una pericolosa disinformazione che punta a sfruttare il momento di emergenza, che viviamo tutti, per chiedere modifiche legislative che non c’entrano nulla con il COVID-19 (come cancellare il divieto di riaprire strutture lager come l’allevamento Green Hill, effettuare test bellici con animali o i test di droghe e alcol su cavie). Un approccio non solo scorretto, ma anche profondamente ingiusto verso i cittadini che ripongono fiducia in chi indossa un camice.
Lo scenario cui stiamo assistendo, però, al di là dei proclami ad effetto, ci mostra una situazione in cui il National Institutes of Health (NIH, organismo pubblico USA che si occupa della ricerca medica) non sta aspettando la tipica e lunga fase di sperimentazione sugli animali procedendo, invece, con i test sull’uomo: il Moderna biotech a Cambridge in Massachusetts, ad esempio, ha sviluppato un possibile vaccino contro il COVID-19, e lo sta testando su volontari umani di 45 anni in buone condizioni di salute (che non corrono il rischio di essere infettati, perché il prodotto non contiene il virus), senza i trials sugli animali. Tal Zaks, a capo del Moderna, ha dichiarato "Non credo che il passaggio su un modello animale sia una strada fondamentale per arrivare alla sperimentazione clinica…sembra che i topi di laboratorio standard non siano nemmeno sensibili a COVID-19 e non possano comunque essere utilizzati per i test in questa fase”. Moderna è una delle aziende private che hanno iniziato fin da subito a lavorare sul virus, appena l’epidemia è scoppiata in Cina.
Altro approccio sperimentale è quello portato avanti dai ricercatori della John Hopkins School of Public Health in uno studio pubblicato sul Journal of Clinical Investigation: utilizzare l'immunizzazione passiva, ovvero immunizzare un paziente sano iniettandogli gli anticorpi contenuti nel siero sanguigno di un paziente guarito (i rischi di venire contagiati da altri patogeni presenti nel sangue del paziente guarito sono ridotti al minimo, grazie alle moderne tecniche utilizzate nelle banche del sangue, che permettono di individuare immediatamente la presenza di eventuali agenti infettivi).
Ma non bisogna andare all’estero per trovare promettenti studi che partono dall’uomo per l’uomo: è italiano il team di ricerca che ha implementato la metodica di identificazione di anticorpi monoclonali che possono essere testati in saggi in vitro, sia contro le specie batteriche sia contro quelle virali, che ha reclutato pazienti convalescenti o guariti da CODIV-19 per prelevarne il sangue, utilizzato poi, per isolare le cellule B, produttrici di anticorpi monoclonali.
Analizzare il virus e la sua diffusione basandosi sullo studio della nostra specie è un passaggio fondamentale, perché la complessità del sistema immunitario dell’uomo riflette il lungo percorso evolutivo durante il quale siamo venuti a contatto con agenti microbici come virus e batteri. Nel nostro organismo, composto da 100'000 miliardi di cellule, convivono almeno 10 milioni di miliardi di “organismi estranei”. Nell’evoluzione delle difese immunitarie, quindi, è stata fondamentale la selezione di organismi “buoni” (come nel caso della flora intestinale che promuove la maturazione del sistema immunitario stesso), rispetto a quelli che sono pericolosi. Fra quest’ultimi ci sono i virus, in grado di sviluppare numerose mutazioni, che hanno contribuito a selezionare il nostro sistema immunitario.
La maggior parte delle infezioni emergenti nasce dalla trasmissione dei virus dagli animali all’uomo, e già nel 2004 l’Organizzazione mondiale della sanità, l’Organizzazione mondiale della salute animale e la FAO hanno segnalato l’intensificazione della produzione animale industriale come principale causa della propagazione delle nuove malattie zoonotiche sconosciute, molte delle quali provocano epidemie perché il patogeno è in grado di mantenere la trasmissione della malattia tra una persona e l’altra.
L’uomo torna, quindi, ad essere il fulcro del problema per le sue caratteristiche specie-specifiche che favoriscono l’insediarsi della malattia, come nel caso del COVID-19, legato alla temperatura delle vie aeree superiori (naso e gola) e inferiori (polmoni), o la presenza di comorbilità, tra cui malattie autoimmuni o infezioni secondarie.
Anche il contesto ambientale può influire sulla diffusione del virus, come dimostrano gli studi sulla correlazione tra la capacità di diffusione e il particolato atmosferico, che funziona da vettore di trasporto per molti contaminanti chimici e biologici, inclusi i virus. Nel caso del COVID-19, la specificità della velocità di incremento dei casi di contagio che ha interessato in particolare alcune zone del Nord Italia potrebbe essere legata alle condizioni di inquinamento da particolato atmosferico che potrebbe aver esercitato un’azione di carrier.
L’emergenza mondiale che stiamo vivendo e che continua a mietere vittime facendo collassare sistemi economici e sanitari, è frutto di un modello consumistico che distrugge gli ecosistemi depredando ambienti naturali e sostituendoli con sistemi industrializzati che allevano miliardi di animali in spazi ristretti, che causano estinzioni di massa di specie selvatiche, inquinamento di suolo, acqua e aria, e cambiamenti climatici.
È una nostra responsabilità, e lo è anche il futuro, che ci impone un cambiamento di rotta.
Questa è l’ultima occasione: abbiamo enormi potenzialità, dobbiamo puntare su un futuro che garantisca la sopravvivenza sul Pianeta per le prossime generazioni, e l’unica via è quella di smettere di distruggere e uccidere, cercando di tutelare e conoscere.
Il messaggio è chiaro, e ci arriva da Ippocrate “prima di cercare la guarigione di qualcuno, chiedigli se è disposto a rinunciare alle cose che lo hanno fatto ammalare”: in questo momento di attivismo civile, abbiamo l’opportunità, e il dovere, di compiere questo cambiamento, perché non ci sarà un’altra opportunità e, se non la cogliamo, non ci potremo lamentare o meravigliare delle prossime pandemie.
Michela Kuan
Biologa - Responsabile Area Ricerca senza animali