I macelli che si sono rivelati essere focolai di coronavirus sono stati molti, negli ultimi mesi, nel mondo, e ora – proprio quando tutto sembrava andare meglio, nel nostro continente- assistiamo ad una recrudescenza dell’attacco virale in Germania: più di 1500 positivi nel più grande mattatoio d’Europa, l’impianto Tönnies, nel Nord Reno-Vestfalia.
Il sistema ‘mattatoio’ facilita la propagazione del virus, perché?
Gli addetti devono stare molto vicini tra di loro per poter agire con la necessaria rapidità nella catena di smontaggio degli animali macellati, per poterli smembrare, tagliare e ridurre fino ad ottenere i tagli che il mercato richiede. Movimenti rapidi e violenti che permettano di mantenere il ritmo di produzione: questa la regola assoluta che governa l’attività quasi ininterrotta dei mattatoi e degli impianti di lavorazione della carne. Mantenere le distanze tra i lavoratori è quasi impossibile, indossare le protezioni è complicato.
Pochi secondi per ‘lavorare’ il pezzo di carne – che era un maiale, un pollo, un vitello, un tacchino o un altro essere senziente – in arrivo, quasi in picchiata, su gancio o nastro trasportatore. E subito dopo il seguente, poi l’altro e via così, con un ritmo frenetico, che alza la frequenza del respiro, che rende difficile tenere la mascherina, che obbliga a urlare per parlare – con conseguente emissione di ‘droplets’ che possono veicolare il virus - a causa del fracasso dei macchinari e degli impianti di areazione e refrigerazione. Sì, perché per evitare che la carne si deteriori, è necessario mantenere bassa la temperatura e mantenere una buona ventilazione: elementi fondamentali per la conservazione del ‘prodotto’, ma anche accertati amplificatori della diffusione del coronavirus. Mantenere la situazione igienica ed epidemiologica sotto controllo è quindi macchinoso e non facilmente attivabile.
Un lavoro da ‘ultimi’
Lavorare in un macello e nella catena produttiva ad esso legata non è un impiego che molti sono in grado di sopportare. È faticoso e crudele trascorre turni lunghi immersi nel sangue, con il suo odore misto a tanti altri effluvi fetenti, in mezzo a quelli che sono considerati nient’altro che ‘oggetti ‘ da uccidere, spellare, sventrare, ridurre a pezzi. In molti paesi la forza lavoro è costituita da immigrati - anche irregolari, arruolati da sub-appaltatori - che vivono stipati in abitazioni sovraffollate, in cui il contagio è facile e veloce: lavorare nei macelli, spesso è un lavoro da ‘ultimi’.
Ultimi i lavoratori, ultimissimi gli animali: il sistema malato della ‘produzione’ della carne, non fa differenze, travolge tutti.
Se non lo capiamo adesso, potremo non avere più tante occasioni di stare a discettarne: la soluzione c’è, è davanti a noi. #NONCOMEPRIMA
Paola Segurini
Area Scelta Vegan