Se la Presidenza del Consiglio ha giustamente classificato con i suoi DPCM i ‘materiali per la cura degli animali’ fra i ‘beni di prima necessità’, alla stregua dei carburanti e degli articoli medicali, come mai alcuni Comuni nell’erogazione dei buoni spesa alle famiglie con problemi economici, escludono che una parte di questi possa essere spesa per dar da mangiare ad altri componenti del nucleo familiare come cani e gatti?
Lo chiediamo in base ai risultati della ricerca che abbiamo realizzato sui provvedimenti con i quali Sindaci e Giunte Municipali hanno dato attuazione alle “misure urgenti di solidarietà alimentare”, con le quali il Dipartimento nazionale della Protezione Civile ha anticipato nei giorni scorsi lo stanziamento di 400 milioni di euro da parte del Governo con l’Ordinanza 658.
Si tratta infatti di Amministrazioni che vietano esplicitamente e tassativamente l’acquisto di materiali e alimenti per animali, pena la restituzione di quanto erogato, a fronte di una distribuzione alle famiglie con problemi economici - in queste solo quattro aree - di quasi 800 mila euro.
Più di una famiglia su tre in Italia vive con animali familiari, e già deve sopportare tutto l’anno un’ingiusta IVA al 22% che equipara il cibo per cani e gatti ai beni di lusso, tanto più le persone prive di reddito o già assistite dai Servizi Sociali, non a caso destinatarie dei buoni spesa anticipati dal Governo e che tanto più in queste settimane spesso, se sole, possono contare sull’affetto del cane o del gatto che vive con loro.
Chiediamo quindi al Ministro dell’Interno Lamorgese, e ai Prefetti, di correggere laddove necessario i Comuni che per conto proprio, non vincolati da alcun atto, hanno autonomamente deciso di escludere la spendibilità dei buoni spesa per la parte dovuta all’accudimento di animali che fanno parte, a tutti gli effetti, della famiglia.
Foto: (C) Ilfattoquotidiano.it