"Gli animali sono nostri fratelli nel dolore, nella malattia, nella morte, nella sofferenza e nella fame”.
Eccetto pochi fanatici religiosi ciechi davanti alle innumerevoli prove offerte dallo scienziato inglese, e dalla biologia contemporanea che sorge dal suo operato, tutti noi accettiamo l’evoluzionismo e riconosciamo la nostra natura animale, ma siamo sicuri di aver recepito appieno il prezioso insegnamento di Darwin?
È risaputo che il paradigma darwiniano ha scalzato il millenario fissismo creazionista, secondo cui le specie sarebbero state create da Dio in persona, separate fin dalla nascita e per l’eternità.
Con l’ultimo atto poietico il Creatore avrebbe plasmato l’uomo a sua immagine e somiglianza, offrendogli lo status di specie prediletta affinché “dòmini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”(1) .
Ad ogni modo, non basta rifarsi a una generica “evoluzione” per ripudiare definitivamente questa obsoleta visione antropocentrica della Terra. Infatti, la teoria formulata dal filosofo Herbert Spencer, rivisitando l’evoluzionismo del naturalista francese Jean-Baptiste Lamarck, consentiva di mantenere salda la posizione dell’umano al vertice del regno animale pur smentendo l’azione diretta di Dio, oltre alla divisione originaria e immutabile delle specie. Spencer ritiene che i viventi abbiano reso più complesse le loro strutture e facoltà sforzandosi di superare gli ostacoli ambientali, per poi lasciare tali miglioramenti in eredità ai loro discendenti, che a loro volta hanno continuato a svilupparsi. In quest’ottica l’adattamento è l’effetto dell’impegno di ciascun organismo a sopravvivere sulla Terra e proprio grazie a questo lento e incessante accumulo genealogico di migliorie si è svolto il progresso lineare dei viventi.(2)
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Insomma, l’uomo è sì un animale, ma è il più adatto, il più evoluto. Dunque, che l’antropogenesi derivi da un singolo atto creativo soprannaturale o dal generale sviluppo naturale di tutti i viventi, l’Homo sapiens resta indiscutibilmente superiore agli altri animali come dimostra la sua qualità più straordinaria: la ragione. Eppure, Darwin non riusciva a trovare riscontro empirico per convalidare questa visione, così dopo vent’anni di raccolta di prove e di perfezionamento dei propri argomenti decise di avanzare la sua teoria pubblicando nel 1859 l’Origine delle Specie. Secondo lo scienziato inglese l’evoluzione, più precisamente la discendenza con modificazione per selezione naturale, si svolge grazie a mutazioni ereditarie che compaiono casualmente nell’individuo aumentandone il tasso riproduttivo in uno specifico e mutevole contesto ambientale.(3)
Diversamente da Spencer l’evoluzione non è il lineare miglioramento dei viventi dovuto all’impegno di ogni singolo organismo per sopravvivere sulla Terra, ma l’imprevedibile ramificazione guidata dalla cernita svolta da differenti e peculiari condizioni ambientali sulle mutazioni apparse fortuitamente negli individui. Insomma, l’essere umano è solo uno dei tanti animali, adattato al proprio ambiente esattamente come lo sono loro. Non appena la teoria darwiniana vide la luce, le altre tesi evoluzionistiche aspramente criticate, se non ridicolizzate, da una cultura strettamente avvinghiata al creazionismo divennero immediatamente più appetibili.
Data la quantità e la precisione delle evidenze portate da Darwin non era più possibile sconfessare la trasformazione spontanea dei viventi, ma qualsiasi alternativa doveva essere preferita all’operato cieco e situazionale della selezione naturale, incompatibile con la netta superiorità umana. Verso la fine del XIX secolo questo caparbio ostracismo rischiò addirittura di oscurare del tutto la prospettiva di Darwin, nel periodo denominato “eclissi del darwinismo”. (4)
Nonostante ciò, com’è noto, la teoria della discendenza con modificazione per selezione naturale ha resistito ai numerosi attacchi moralistici provenienti dal mondo scientifico, e non solo, confermandosi valida tutt’ora.
Eppure, dopo quasi due secoli dalla rivoluzione darwiniana l’orgogliosa scimmia nuda non vuole ancora accettare la propria animalità, un atteggiamento biologicamente infondato che il primatologo olandese Frans De Waal definisce “antropodiniego” (5) , ovvero l’aprioristico rifiuto di riconoscere tratti simili tra noi e gli altri animali.
Se persino la razionalità umana, come già sostenuto dallo stesso Darwin e avvalorato negli anni dagli studi di etologia cognitiva, per quanto estremamente sofisticata non è un dono eccezionale, qualitativamente differente, che altro serve per detronizzare una volta per tutte l’Homo sapiens?
Inutile dire che, vista l’ottusa reticenza ad assimilare il nostro status di animale, le palesi implicazioni morali della teoria darwiniana (6) sono state quasi totalmente isterilite. Non essendo superiori a nessun altro animale, cosa ci dovrebbe legittimare a perseverare nell’indiscriminato, sanguinario, ripugnante sfruttamento dei nostri cugini?
La mera constatazione che abbiamo il potere di farlo non può certo ritenersi sufficiente, a meno che la stessa giustificazione non sia trasponibile anche all’interno della nostra specie, abiurando così a qualsiasi possibilità di formulare e implementare una teoria morale.
Proprio Charles Darwin, seguendo un’intuizione avuta vent’anni prima di dare alle stampe la teoria dell’evoluzione, scriveva che “gli animali sono nostri fratelli nel dolore, nella malattia, nella morte, nella sofferenza e nella fame”, tuttavia “li abbiamo resi schiavi, non ci piace considerarli nostri eguali”, d’altronde “non desiderano forse gli schiavisti far diventare l’uomo nero un’altra categoria rispetto a loro?” .(7)
[immagine: https://it.m.wikipedia.org/wiki/File: Darwin_as_monkey_on_La_Petite_Lune.jpg]
(1) Gen. 1,26-28, in La Sacra Bibbia (2008). Conferenza Episcopale Italiana (https://www.bibbiaedu.it/CEI2008/at/Gen/1/).
(2) Spencer, H. (1852). The development hypothesis, in The Leader [20ᵗʰ March 1852], Thornton Leigh Hunt, London, pp. 280- 281. (https://archive.org/details/sim_saturday-analyst-and-leader_1852-03-20_3_104/page/280/mode/2up).
(3) Darwin, C. (1859). On the origin of the species, John Murray, London (https://darwin-online.org.uk/converted/pdf/1859_Origin_F373.pdf).
(4) Huxley, J. (1942). Evolution: The modern synthesis, George Allen & Unwin Ltd, London.
(5) De Waal, F. (2016). Siamo così intelligenti da capire l’intelligenza degli animali?, Raffaello Cortina Editore, Milano.
(6) Rachels, J. (1990). Created from animals: The moral implications of Darwinism, Oxford University Press, New York.
(7) “Animals whom we have made our slaves we do not like to consider our equals. Do not slave holders wish to make the black man other kind? (…) animals our fellow brethern in pain, disease, death and suffering, and famine” [Darwin, C. Notebook B, in Barrett, P. H. (1960). A transcription of Darwin's first notebook [B] on 'Transmutation of species'. Bulletin of the Museum of Comparative Zoology, Harvard 122 for 1959-1960, p.280 (https://darwin-online.org.uk/content/frameset?itemID=F1575&viewtype=text&pageseq=1)].