L’indignazione per questo episodio dovrebbe estendersi a tutte le forme di sfruttamento dei cavalli.
L’episodio di Pomigliano d’Arco, in cui un cavallo è stato costretto a seguire un’auto nel traffico cittadino, è l’ennesima dimostrazione di quanto la violenza sugli equidi sia normalizzata.
Questa pratica non è solo profondamente immorale, ma estremamente pericolosa: privato della libertà di movimento e obbligato a mantenere il passo imposto da un’auto, il cavallo rischia di inciampare, cadere rovinosamente sull’asfalto, ferirsi o causare incidenti. Un pericolo che coinvolge non solo lui, ma anche le persone sulla strada.
In alcune aree, infatti, è ancora diffuso l’uso di far trottare o galoppare i cavalli su strada come metodo di allenamento, una pratica brutale che espone gli animali a traumi articolari, cadute e stress estremo. L’asfalto, inadatto agli zoccoli, può causare gravi danni fisici, mentre il traffico e i rumori cittadini aumentano il rischio di reazioni di panico con conseguenze potenzialmente letali.
Oltre alla condanna etica, è necessario interrogarsi sulle implicazioni legali. Il maltrattamento animale è un reato, eppure normative insufficienti e una cultura di tolleranza nei confronti dello sfruttamento equino rendono possibili pratiche come questa.
Serve un cambiamento normativo che non si limiti a punire casi isolati, ma affronti il problema alla radice, riconoscendo che il vero nodo non è il singolo abuso, ma l’intero sistema che continua a trattare i cavalli come strumenti.
L’indignazione per questo episodio dovrebbe estendersi a tutte le forme di sfruttamento equino: cambia il metodo, ma non la logica. Il cavallo resta un mezzo, privato della possibilità di scelta e costretto a comportamenti innaturali che lo espongono a gravi rischi.
Credit Photo: napoli.repubblica.it