Carne non è benessere: non lo è per l’impatto che gli allevamenti hanno sul Pianeta, in termini di conclamato inquinamento, di consumo di suolo e acqua, di animali sacrificati per un consumo alimentare criticato anche dal mondo scientifico più indipendente per l’impatto che può avere sulla salute umana. Dal 1960 il consumo di calorie procapite è aumentato di circa un terzo, il consumo di carne è raddoppiato.
Per decenni il consumo di proteine animali è stato incentivato, anche l'Italia ha sviluppato una economia della carne attraverso allevamenti intensivi (ebbene sì, sono la norma anche in Italia, sebbene qualcuno cerchi di negarlo attraverso il confronto con gli allevamenti ultra-intensivi d'oltreoceano), che hanno potuto contare su sovvenzioni pubbliche. Tutto questo è stato spacciato per conseguito benessere, senza alcuna reale e obiettiva considerazione - se non per voce di associazioni come LAV e di esperti indipendenti - per il reale impatto complessivo che le fabbriche di carne hanno verso il Pianeta.
In molti, anche in Italia, sono preoccupati degli effetti di disastri come quello che sta devastando l’Amazzonia e l’ecosistema. Mai come in questo momento è necessario avere il coraggio di ammettere ogni responsabilità per i danni provocati anche in zone del Pianeta distantissime: in Amazzonia si disbosca per far spazio ad allevamenti di bovini e l’Italia è tra i maggiori importatori di Zebù dal Brasile. Si tratta di carne congelata, utilizzata per produrre la bresaola, promossa come eccellenza alimentare e per lo più prodotta con animali importati, che vengono trasformati in un alimento consigliato spesso dai nutrizionisti. Nel 2015 il consorzio ha prodotto 12mila 272 tonnellate di Bresaola della Valtellina IGP a cui bisogna aggiungere quella senza il marchio di Indicazione Geografica Protetta, circa il 30% in più.
Per la sola bresaola prodotta tra Valtellina e Valchiavenna ci risulta che «occorrono circa 25mila tonnellate di carne fresca e il 95% è d’importazione». Per ottenere quel quantitativo di carne bisognerebbe abbattere 2 milioni di bovini circa (d’età compresa fra i 18 mesi e i 4 anni) ma in Valtellina ci sono circa 5-6mila capi e in tutta Italia circa 5 milioni di vacche, per lo più da latte. Senza l’importazione di quella carne non potrebbe esistere gran parte del mercato della bresaola. È questa la realtà che si nasconde dietro un consumo alimentare per anni considerato come eccellenza italiana.
L’esempio della bresaola è indicativo, ma che il consumo di carne in generale sia distruttivo è ormai assodato ed è ora di agire concretamente.
Per le istituzioni è ora di passare dalle parole ai fatti e per il mondo produttivo, per i cittadini e i consumatori favorire e adottare nuovi stili di vita, più consapevoli e responsabili, dovrebbe essere un imperativo dettato prima di tutto dalla loro coscienza e da una consapevolezza senza pregiudizi o interessi di parte: la salute, del Pianeta e nostra, inizia a tavola!.
Per passare dalle parole ai fatti, rinnoviamo al Governo la richiesta adozione di queste misure:
1)Stop ai sussidi pubblici alla zootecnia
2)Misure di forte vantaggio fiscale per le proteine vegetali rispetto a quelle animali
3)Policy per gli appalti della ristorazione in favore di alimenti di origine vegetale
4) Includere le emissioni del settore zootecnico nei target di riduzione di emissioni di gas serra