1. La carne coltivata è sintetica
La carne coltivata
(“sintetica” è un termine scorretto, usato strumentalmente da alcuni politici e
ripreso dai media, ma mai utilizzato da nessun ricercatore) è un prodotto
derivante dall’agricoltura cellulare, un procedimento per il quale a
cellule prelevate da animali si forniscono l’ambiente idoneo alla riproduzione
e i nutrimenti necessari, così che possano svilupparsi come farebbero in vivo
(ossia all’interno del corpo di un organismo).
Non c’è nulla di
innaturale o sintetico in questa tecnologia, peraltro in uso da decenni nel campo della medicina,
come evidenziato nel position paper LAV.
Il processo di produzione
inizia infatti con il prelievo di cellule da un animale vivo, in buona
salute e tramite una pratica non dolorosa; le cellule sono poi
selezionate e fatte crescere in un liquido di coltura composto da
aminoacidi, glucosio, vitamine e sali inorganici e integrato con fattori di
crescita e altre proteine. In questo ambiente, completamente sterile e adatto
alla crescita, le cellule si differenziano e riproducono, andando a creare le
fibre muscolari e i tessuti adiposi (la parte di grasso).
Dopo un periodo che varia
dalle 2 alle 8 settimane è possibile raccogliere il prodotto cellulare finale,
che avrà qualità analoghe alla carne ottenuta dalla macellazione degli animali.
2. La carne coltivata inquina più della carne “normale”
La produzione di
carne da macellazione è responsabile della maggior parte delle emissioni
clima-alteranti del settore agricolo, più di tre quarti dei terreni agricoli mondiali sono
infatti destinati alla produzione di mangimi per gli animali detenuti negli allevamenti;
tuttavia, i prodotti animali forniscono solo il 18% delle calorie alimentari
globali e il 25% delle proteine (Good
Food Institute). Gli impatti della
carne da macellazione sono difficili da ridurre, perché generati lungo tutta la
catena, ognuna delle fasi produce enormi quantità di CO2eq (non si tratta
infatti solo di anidride carbonica, ma della somma dei gas serra che
partecipano al cambiamento climatico, all’acidificazione ed ecotossicità
terrestri e all’eutrofizzazione marina).
Come è stato già dimostrato
nella ricerca commissionata da LAV all’istituto di ricerca indipendente Demetra
“Il
costo nascosto del consumo di carne in Italia”, in un anno, le emissioni associate al ciclo di vita
della sola carne bovina consumata in Italia equivalgono a oltre 18 milioni di
tonnellate di CO2eq, per un costo nascosto annuale di oltre 1.000.000.000 € (un
miliardo di euro).
Facendo un paragone,
l’inquinamento emesso dalla produzione di sola carne bovina in Italia è
equivalente all’impatto delle più grandi e inquinanti centrali a carbone in
Europa nell’arco di un anno.
La produzione di
carne coltivata,
benché non ci siano ancora delle stime definitive, potrebbe ridurre
significativamente le emissioni, oltre che liberare centinaia di milioni di
animali da sofferenze quotidiane.
In una recente
ricerca di Delf
CE è stata condotta un’analisi
LCA (Life-cycle assessment) per stimare l’effettivo impatto ambientale che la
produzione di carne coltivata su ampia scala avrebbe nei prossimi sei anni
(entro il 2030).
La ricerca mette in
luce che l'uso del suolo necessario alla produzione di
carne coltivata è di gran lunga inferiore a quello di tutte le carni da
macellazione e ne permetterebbe una riduzione di oltre il 90%.
Anche i risultati relativi alle emissioni di
particolato fine e all'acidificazione terrestre per la carne coltivata sono
inferiori a quelli di tutte le carni convenzionali e questi risultati sono
relativamente insensibili alle modifiche del modello utilizzato dai ricercatori.
Il motivo principale è che le emissioni di ammoniaca per produrre carne da
agricoltura cellulare sono inferiori a quelle dei sistemi basati su allevamento
e macellazione di animali, sia perché vengono meno le deiezioni sia perché la
carne coltivata ha bisogno di meno colture e quindi di meno fertilizzanti. In
totale, una produzione su larga scala di carne coltivata permetterebbe di
ridurre del 92% il riscaldamento climatico causato dalla produzione di carne,
del 93% l’inquinamento dell’aria, del 78% l’utilizzo di
acqua e di oltre il 90% l’utilizzo di suolo.
3. La carne coltivata mette a rischio il Made in Italy
Partendo dalla consapevolezza che i prodotti Made
in Italy sono largamente costituiti anche da cibi di derivazione vegetale,
si pensi alle Lenticchie di Castelluccio di Norcia o al Pane di Altamura solo
per fare due esempi, è improbabile pensare che la carne coltivata possa
soppiantare al 100% le produzioni di carne di tutta Italia. La cultured meat
permetterebbe però di offrire alle persone un’opzione in più che non implica lo
sfruttamento e l’uccisione di animali.
Se l’Italia fosse nelle
condizioni di mettere in campo le proprie energie imprenditoriali e innovative
sperimentando le possibili applicazioni di questa nuova tecnologia, inoltre,
potrebbero crearsi nuove eccellenze, meno inquinanti e senza crudeltà. Ciò
consentirebbe di continuare la lunga tradizione culinaria italiana senza, per
questo, rimanere biecamente ancorati a modelli di produzione e consumo non
sostenibili e sempre meno
accettati dagli stessi consumatori. La
creatività che caratterizza la cucina italiana potrebbe trovare nuove
espressioni e dare vita a nuove tradizioni.
Se davvero la paura fosse quella di una perdita a
livello di patrimonio gastronomico italiano, allora l’attenzione dovrebbe
ricadere sull’accordo, stretto già dal 2018 e riconfermato a marzo 2023, tra
Coldiretti e Mc Donald’s, che Ettore Prandini – allevatore Presidente dell’organizzazione
di imprenditori agricoli nazionali - ha commentato dicendo “Mc Donald’s rappresenta
l’italianità, le nostre eccellenze, la nostra biodiversità”.
Il timore che la cultivated meat
possa in qualche modo soppiantare una tradizione secolare è stato instillato e
strumentalizzato da chi vi si oppone, non perché esista un reale pericolo che
questo possa capitare.
4. La carne coltivata è carne e non potrà mai essere “vegana”
La carne coltiva è a tutti gli effetti carne
ed è più che comprensibile se vegani e vegane non vorranno consumarla, come LAV
spesso ricorda, una alimentazione interamente vegetale basata su legumi,
ortaggi, frutta e cereali è già facilmente accessibile e permette di assumere
tutti i nutrimenti necessari. Tuttavia, la cultivated meat
permetterebbe di produrre un alimento senza sofferenza animale, che possa
essere integrato nella quotidianità di una vasta porzione di consumatori,
riducendo drasticamente l’utilizzo degli animali ad un prelievo di cellule,
condotto con metodologia non invasiva e indolore. Un prodotto da agricoltura
cellulare, benché di origine animale, potrebbe contrapporsi agli abusi
che ogni giorno centinaia di milioni [1]
di individui sono costretti a sopportare negli allevamenti prima di essere
uccisi.
Inoltre, il fattore più problematico relativo
alla carne coltivata, ossia l’uso di siero fetale bovino, appare di facile
superamento: sono già svariati gli istituti di ricerca e le startup che
utilizzano un brodo di coltura completamente privo di componenti animali –
ne è un esempio l’olandese Mosa
Meat
– e diversi ricercatori italiani sono positivi circa la sua diffusione nei
prossimi anni (ammesso che il Ddl
proposto dal Ministro Lollobrigida - se approvato dal
Parlamento - non freni anche lo sviluppo della ricerca in merito. Proposta di
Legge comunque destinata a cadere in virtù di quella europea, una volta che
EFSA si sarà espressa in materia).
5. La carne coltivata contiene più antibiotici della carne macellata
La carne coltivata, a differenza di quella prodotta tramite
l’uccisione di animali, viene lavorata in ambiente completamente sterile,
condizione che richiede un minor uso di antibiotici. Negli allevamenti
intensivi, che costituiscono la stragrande maggioranza degli allevamenti
italiani, gli animali sono infatti stipati in ambienti ristretti, a stretto
contatto tra loro, e vivono insieme a carcasse di individui morti di stenti (ne
è esempio una delle ultime inchieste LAV). In queste condizioni di
sovraffollamento e forte stress psico-fisico l’uso massiccio di antibiotici è
necessario perché gli animali non si ammalino, condizione che nel caso
della carne coltivata non sussiste.
Nel paper
diffuso dalla FAO a inizio marzo 2023 si chiarisce che, poiché
la coltivazione delle cellule avviene in condizioni di sterilità strettamente
controllate, l'uso di antibiotici è drasticamente ridotto o può essere
eliminato. In questo modo si riduce il rischio di esposizione umana agli
antibiotici e lo sviluppo della resistenza antimicrobica, una delle più grandi
minacce alla salute pubblica che l’OMS definisce “pandemia
silenziosa”.
[1] Solo in Italia, oltre 630 milioni di animali
terrestri sono macellati ogni anno - (Fonte:
Anagrafe zootecnica nazionale 2022) e miliardi di animali acquatici