Dopo la ricostruzione della difesa sono ancora più evidenti le responsabilità di chi ha sparato a caso senza sapere dove sarebbe finito il colpo.
Sconcertanti i risultati della ricostruzione dell’omicidio del giovane cacciatore ucciso dal compagno di battuta lo scorso 11 gennaio al fosso delle Carceri, nei pressi di Assisi.
Stando alle dichiarazioni dell’avvocato difensore dell’indagato, emerge che questi avrebbe sparato in condizioni di pessima visibilità, senza vedere nulla e con la sola presunzione di sparare a un cinghiale del quale sarebbero stati percepiti solamente i rumori.
Un’altra vittima umana che va ad aggiungersi alle 60 persone ferite e alle 18 uccise dai fucili da caccia, secondo i dati raccolti dall’Associazione Vittime della Caccia nei cinque mesi della scorsa stagione venatoria.
Il tema della pericolosità della caccia viene confermato in tutta la sua drammaticità in questo fatto di sangue accaduto esattamente dieci giorni dopo l’entrata in vigore dell’emendamento “caccia selvaggia”, approvato dal Parlamento e che ora consente ai cacciatori di entrare anche nelle città, sparando a qualsiasi specie animale per tutto l’anno.Il cacciatore dovrebbe sapere distinguere la differenza tra un cinghiale e una persona, tuttavia quanto accaduto alle pendici del Monte Subasio conferma che chi ha sparato non ha neppure inquadrato la preda nel mirino, un comportamento di per sé criminale che una volta di più dimostra che la caccia oltre a causare milioni di vittime fra gli animali, rappresenta un concreto pericolo per le persone.
La LAV annuncia la sua mobilitazione nazionale di fine marzo contro caccia selvaggia e ogni altra forma di caccia, a tutela degli animali selvatici e dei cittadini che saranno messi a rischio anche nelle città dalla presenza di cacciatori che potrebbero sparare solo per aver sentito un rumore, come accaduto ad Assisi.