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Bracconaggio ittico: piaga sottovalutata che causa morte e sofferenza

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Ultimo aggiornamento

martedì 15 dicembre 2020

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Se non fosse stato per la sbruffonaggine di un impiegato di banca che si è vantato sui social di aver pescato ben 40 kg di orate, quando il limite giornaliero è fissato a 5 Kg, probabilmente le autorità non sarebbero mai venute a conoscenza di questo ingiustificabile atto di bracconaggio, causa di morte di animali e distruzione di habitat. Un fatto che segue di pochi giorni quello compiuto da Marco Volpi (campione nazionale di pesca sportiva n.d.r.), pizzicato con 48 Kg di orate.

In entrambi i casi i protagonisti si sono giustificati affermando di avere commesso uno “sbaglio”, con l’evidente intento di banalizzare i fatti gravissimi di cui si sono resi protagonisti, e che hanno creato un grave danno al patrimonio ittico dello Stato, oltre ad aver comportato la morte di animali, crudelmente uccisi per asfissia.

E’ però evidente che non si può affatto parlare di sbagli: sia il bancario, sia Volpi hanno pescato quasi dieci volte il limite imposto dalla norma, comportandosi quindi come veri e propri bracconieri, predoni del mare e delle vite che lo popolano.

La cosiddetta “pesca sportiva” è un’attività che comporta morte e sofferenza per centinaia di milioni di animali ogni anno nel nostro Paese, assieme al bracconaggio ittico del quale le dimensioni sono del tutto sconosciute, ma certamente imponenti anche se solo riferite ai due casi emersi recentemente a Livorno.

Ci chiediamo che cosa possa esserci di sportivo in una tale pratica, che prevede esclusivamente una penosa gara a chi causa più morte e sofferenza: non sono certo questi i valori formativi dello sport, motivo per cui la pesca dovrebbe essere bandita da ogni consesso sportivo.

Massimo Vitturi
Responsabile Area Animali Selvatici