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Amianto, i test su animali non rivelarono nulla

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Ultimo aggiornamento

lunedì 03 giugno 2013

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E’ stato condannato a 18 anni di reclusione per disastro doloso l’imprenditore elvetico Stephan Schmidheiny, imputato a Torino nel caso Eternit. Il processo ha riconosciuto il disastro ambientale permanente, anche per le località di Bagnoli e Rubiera, che nella sentenza di primo grado erano invece state escluse per intervenuta prescrizione.

Un verdetto importante per le  vittime dell’amianto e le loro famiglie.

L’avvocato Valentina Stefutti, che ha seguito le udienze per il WWF, afferma come “la sentenza confermi la gravità del disastro ambientale e sanitario con danni ambientali e sofferenze umane inenarrabili, in un’area molto vasta che ha interessato Casale Monferrato e 48 comuni limitrofi con oltre 2000 vittime accertate dall’esposizione all’amianto, ed un indeterminato numero di lavoratori e popolazione colpita.”

I danni all’organismo provocati dall’amianto (detto anche asbesto) dovuti all’inalazione delle sue fibre, portano a disfunzioni respiratorie (asbestosi) gravi e mortali o a tumore maligno (mesotelioma) colpendo i polmoni e gli organi addominali.

Gli effetti tossici dell’amianto sono stati scoperti in seguito a studi sull’uomo. Rigorose ricerche basate su investigazioni epidemiologiche hanno evidenziato un collegamento tra il numero di decessi e l’esposizione a questi minerali.

Ma tali allarmanti evidenze, sfortunatamente, sono giunte troppo tardi: il materiale era già in commercio, perché i test di sicurezza eseguiti su animali fin dal 1967 ne avevano dimostrato l’innocuità, nonostante fosse però noto che i ratti presentassero una sensibilità all’asbesto più bassa di quella dell’uomo.

Nel corso di test di inalazione condotti sui roditori sono necessarie concentrazioni di fibre 100 volte superiori rispetto alle quantità cui sono esposti i lavoratori dell’amianto, perché possa svilupparsi un tumore al polmone, 1000 volte superiori perché l’animale raggiunga il livello di rischio di ammalarsi di mesotelioma1.

Di recente, il Department of Health and Human Sciences statunitense ha dichiarato2 che per superare le difficoltà legate all’estrapolazione di dati tra specie diverse è necessario intraprendere studi sull’uomo: "…nuove ricerche sulla sedimentazione e sull’eliminazione delle fibre di asbesto nell’uomo potrebbero risolvere la questione".

Posizioni scientifiche che confermano come la vivisezione sia una pratica crudele e inutile. In molti casi la sperimentazione su animali è stato, e continua ad esserlo, l’alibi per mettere in commercio sostanze dannose per l’uomo, seguendo l’unica logica del profitto.
Quella di oggi è una sentenza fondamentale che auspichiamo faccia luce sui danni della vivisezione verso l’uomo, gli animali e l’ambiente.

Michela Kuan, responsabile settore Vivisezione