Il Presidente della Commissione
Agricoltura della Camera, Mirco Carloni, è il primo firmatario di una proposta
di legge che mira a vietare l’utilizzo di
denominazioni “meat-sounding” per le alternative vegetali alla carne.
La proposta - applaudita ovviamente da Assica (Associazione Industriali delle
Carni e dei Salumi) e dal suo presidente Ruggero Lenti, che sottolinea come da
anni "assistiamo all'antipatico fenomeno di usurpazione dei nomi
carnei da parte di prodotti che nulla hanno a che vedere con essa"
(EFA News) – sembra una manovra per frenare la ormai innegabile diffusione
delle alternative 100% vegetali alla carne.
Sarà paura di perdere terreno? Sarà timore che i consumatori assaggino le
versioni cruelty free dei cibi e non tornino indietro? Nessuno
acquisterebbe mai una salsiccia di soia per errore, ma piuttosto perché
realmente interessato – per qualche sua motivazione, noi ci auguriamo etica - a
consumarla.
In ogni caso è passato poco tempo da quando, nel 2020, il Parlamento europeo ha bloccato un emendamento in quel senso che avrebbe vietato l’utilizzo di termini di uso comune, come "hamburger vegetariano" o "bistecca 100% vegetale”.
E le bevande vegetali? Non possiamo chiamarle in altro modo, in Italia e in Europa; ciò che conta non è tuttavia il nome ma il contenuto e l’apprezzamento sempre più elevato da parte dei consumatori: nel 37,9% delle famiglie ha acquistato alimenti plant-based, con una crescita record delle vendite: +47% per le bevande (Eurispes, 2022)
Diversamente dagli USA, dove una ricerca effettuata dalla FDA (Food and Drug Administration) in merito alla denominazione dei "latti" vegetali, indicava come i consumatori siano pienamente in grado di distinguere tra i prodotti animali e plant-based. Non solo, il 67% degli oltre 7000 intervistati dichiarava di preferire l’etichetta “milk” per le bevande vegetali (Forbes 2019).
Proprio su quest’onda, di recente, lo stesso ente statunitense ha stabilito che i prodotti a base vegetale possono continuare ad essere definiti "latte", ma devono evidenziare il modo in cui il loro valore nutrizionale si confronta con le controparti lattiero-casearie. Gli stakeholder del settore (vale a dire i 'produttori' di latte) hanno tempo fino al 23 aprile per contestare la decisione che è ancora in bozza. E si stanno organizzando.
Bevanda o "latte", un punto di lotta rimane chiaro: in Italia l’IVA sulle alternative vegetali al latte resta al 22% ed è necessario ribadire l’urgenza dell’abbassamento al 4% (come per il latte) per favorirne la diffusione anche nell’ambito dell’educazione alimentare, che non può e non deve essere monopolizzato dalla zootecnia.
Del resto, il cambiamento è in atto, non saranno manovre di marketing o improbabili proposte di legge a fermarlo. La consapevolezza dei cittadini sulle distruttive conseguenze etiche, ambientali e salutistiche del consumo di alimenti di origine animale cresce ogni giorno in un percorso in cui nessun ostacolo sarà troppo alto da saltare.
Raggiungeremo presto il traguardo, per gli animali e per il Pianeta.