La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da un ristoratore di Campi Bisenzio (Firenze), condannato per aver detenuto aragoste e granchi vivi sul ghiaccio con le chele legate, confermando la sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Firenze.
“La decisione della Corte di Cassazione rappresenta un pronunciamento giudiziario che potrà produrre due effetti – commenta la LAV – le Forze di Polizia dovranno intervenire in seguito alle denunce di cittadini e associazioni per le diffusissime analoghe situazioni in pescherie e supermercati, considerate finora normali, e il Parlamento dovrà emanare una norma di chiaro divieto poiché questo tipo di esposizione degli animali, aldilà delle valutazioni etiche, ‘è incompatibile con la natura degli animali e produttiva di gravi sofferenze’. Una riflessione che anche i consumatori, auspichiamo, facciano propria adottando scelte conseguenti”.
La vicenda era scaturita da un esposto della LAV, presentato nell’ottobre del 2012, che denunciava le condizioni di detenzione di alcuni crostacei all’interno di un ristorante di Campi Bisenzio (Fi).
Gli agenti della Polizia municipale avevano quindi effettuato due diversi un sopralluoghi, confermando quanto denunciato dalla lav: all’interno di due diversi frigoriferi, infatti, furono rinvenuti aragoste e granchi vivi con le chele legate, esposti a temperature tra 1,1 e 4,8 gradi centigradi.
la polizia municipale aveva quindi provveduto a informare la Procura della Repubblica di Firenze di quanto accertato.
La condanna a carico del titolare del ristorante, emessa ad aprile 2014 dal Tribunale di Firenze ai sensi dell’art. 727 del Codice penale, e confermata ora dalla Corte di Cassazione, si fonda ormai su dati scientifici inconfutabili: i crostacei sono in grado di provare dolore e di averne memoria, modificando così il loro comportamento. Pertanto la detenzione di tali animali vivi a temperature prossime allo zero e con le chele legate configura un reato.
Per l’assistenza legale fornita, la LAV ringrazia l’avvocato Raffaella Sili, del Foro di Roma, e l’avvocato Beatrice Perugini, del Foro di Firenze, che seguì il primo grado di giudizio.